Di Carlo La Vecchia-3^D-
Salve, sono Jack e oggi vorrei parlarvi di una storia accaduta più o meno un anno fa che mi farebbe piacere condividere con voi. In realtà è un racconto piuttosto banale, ma credo che ciò che sto per narrare potrebbe essere comunque di aiuto a qualcuno.
Ero un tipo un po’ timido, faticavo a socializzare e uscivo molto di rado. Ero insicuro e non parlavo molto, ma avevo comunque un amico: William.
Lui era un po’ come me, introverso e riservato; in effetti, era l’unico che mi capiva. Eravamo amici fin da piccoli: gli anni passavano, noi crescevamo, gli interessi cambiavano, ma la nostra amicizia era solida come la pietra.Eravamo compagni di banco e passavamo interi pomeriggi a studiare insieme, giocare con la play, confidarci segreti e, se litigavamo, ci riappacificavamo subito. Insomma, sembrava che nulla potesse rovinare la nostra amicizia. Tutto fino a quando non arrivò quel giorno.
Un nostro compagno di classe organizzò una gran festa e volle che ci fossero tutti, inclusi noi due. All’inizio eravamo un po’ riluttanti (del resto non frequentavamo nessuno della classe e non avevamo rapporti con nessun membro), ma alla fine abbiamo deciso che un invito a una festa sarebbe stata un’occasione che non si sarebbe mai più ripetuta se noi avessimo rifiutato. E poi avremmo anche potuto conoscere qualcuno (chissà, magari anche qualche ragazza…).
E invece nessuno sembrava considerarci a quella festa.
“Beh, almeno possiamo sempre approfittare del buffet”, gli dissi. Rise un po’, ma poi con una faccia impallidita mi disse che in realtà non si sentiva molto bene, aveva un po’ di nausea. Gli consigliai allora di andare in bagno (probabilmente aveva solo esagerato con i salatini… come al solito).
Rimasi un po’ da solo ad aspettare e non vedevo l’ora che William tornasse.
Erano passati all’incirca dieci minuti quando mi si avvicinò il festeggiato.
“Cosa fai lì tutto solo? Forza, vieni a divertirti con noi!”
Il festeggiato si chiamava Erik. Era il ragazzo più popolare della classe; solo lui, infatti, avrebbe potuto organizzare una festa del genere con la certezza che sarebbero venuti tutti.
Io tentennai un po’, ma alla fine mi convinse. Mi presentò ai suoi amici, mi chiese un po’ di me e di come mai me ne stavo sempre un po’ in disparte. Io gli risposi semplicemente che ero un po’ timido.
Il gruppetto ridacchiò, ma si mostravano tutti stranamente gentili e simpatici nei miei confronti: forse non ero così asociale come credevo?
Passai la serata assieme a loro, a ridere e a scherzare. Quando mi accorsi che si era fatto tardi, spiegai che me ne dovevo andare e ringraziai. Erik mi rispose semplicemente che non poteva permettere che qualcuno alla sua festa si annoiasse.
Certo era molto divertente la vita da ragazzi popolari. Lo dovevo assolutamente raccontare a William… William! Mi ero completamente dimenticato di lui! Fu allora che ripresi il telefono in mano e mi accorsi di tre chiamate perse e un messaggio che diceva che era tornato a casa…
La musica era molto alta alla festa e le notifiche non si sentivano… peccato, ma dovevo assolutamente fargli conoscere i miei nuovi amici: erano molto più affabili di quanto credessi!
Il giorno dopo arrivai a scuola in ritardo. Eh sì, andare a una festa il mercoledì sera probabilmente non era stata l’idea migliore del mondo, ma almeno ne era valsa la pena. Stavo per sedermi al mio posto, quando notai che William non c’era. Allora Erik mi propose sedermi vicino al suo gruppo (c’era un banco vuoto anche lì). La compagnia si dimostrò molto divertente, ma comunque un po’ mi mancava William.
Al ritorno da scuola lo chiamai e mi rispose che aveva il virus intestinale e che probabilmente non si sarebbe fatto più vivo per il resto della settimana. Io gli dissi che avevo trovato dei nuovi amici e che non vedevo l’ora di farglieli conoscere. Lui asserì che era felice per me e che anche lui era ansioso di conoscerli.
Passai i giorni successivi con Erik e la sua banda. Mi divertii un mondo con loro: era uno spasso stare nel circolo dei più popolari. Il lunedì William tornò, ma entrò dopo di me. Quando mi vide vicino a Erik e ai suoi compari fece una sorta di smorfia. Gli dissi che sarei tornato al mio posto, ma lui mi rispose che potevo anche restare con Erik. Non capivo perché si stesse comportando così.
All’uscita da scuola, decisi di parlargli.
“Ehi, William, perché stamattina hai fatto quella faccia quando mi hai visto? Mi trovavo lì soltanto per non stare da solo!”
“Sono i tuoi nuovi amici quelli?”
“Beh, sì, dovresti conoscerli! Non sono per niente antipatici o scontrosi, anzi!”
“E da quando in qua frequenti dei tipi del genere?”
“Che cosa stai insinuando?”
“Non lo so, a me sembrava che non ti stessero tenendo troppo in considerazione. Io al posto tuo non mi fiderei troppo.”
Stavo iniziando a innervosirmi.
“Ah sì? Ma come ti permetti tu di giudicare qualcuno basandoti su semplici apparenze?”
“A me sembra che sia tu quello che si sta facendo ingannare dalle apparenze.”
“Sai che ti dico? Che non ho bisogno dei tuoi stupidi consigli. La verità è che sei solo invidioso per il fatto che io ho trovato dei nuovi amici mentre tu stavi a casa. Non ho più bisogno della tua stupida compassione, io non sono come te! Puoi anche andartene ora, tanto non voglio più vederti!”
Normalmente i nostri litigi non duravano più di uno o due giorni. Quella volta, invece, è stato diverso. Non ci siamo più parlati per tutta la settimana e non siamo tornati ai nostri posti originari. Passai più tempo con il gruppetto di Erik e mi invitarono a una nuova festa quel sabato. Mi chiesero se volessi invitare anche il mio “amichetto” e io risposi che di quell’asociale non mi importava più nulla.
La settimana dopo, percepii qualche strano mutamento. William continuava a darmi il muso, ma Erik e gli altri cominciarono a trattarmi un po’ con diffidenza, quasi a ignorarmi a volte… Ma appena iniziavo ad avere questi presentimenti, subito si rivelavano infondati: infatti, tutti si dimostrarono sempre gentili con me. Mi invitarono così a un’altra festa.
Quella festa fu diversa dalle altre: mi sentivo di nuovo solo. Certo, sentivo i discorsi degli altri, ridevo, ma mi sentivo quasi escluso come se fossi un alieno o una sorta di peso. Più tardi, dopo che il resto del gruppo era andato a gustare il buffet, chiesi a Erik, che era rimasto a parlare con una ragazza (non che fosse l’unica con cui avesse conversato quella sera), se era vero che mi stavano ignorando, o almeno, provai a chiederglielo, ma lui sembrava non sentirmi. Allora a un tratto urlai “Eriiik!” e lui sbottò tutto indignato:
“Ma che vuoi da me, non vedi che sono impegnato? Ma che vuoi? Vai al buffet,ho da fare! Non ho tempo da perdere con delle nullità come te!”
“Come, scusa?”
“Hai sentito bene. Puoi anche andartene, credi davvero che mi importi qualcosa di un idiota come te? Torna pure dal tuo amichetto nerd, io con i perdenti non voglio avere nulla a che fare!”
La gente iniziò a deridermi. Io me ne andai tutto adirato, e per poco non riuscii a trattenere le lacrime. William aveva ragione. Avevo sbagliato a fidarmi di loro. Sapevo che tipi fossero e sapevo già di come avessero trattato altre persone, eppure avevo preferito fidarmi di loro piuttosto che del mio amico più caro. Dovevo assolutamente chiedergli scusa. Mi lamentavo di essere solo, quando ero stato io a lasciare solo il mio migliore amico.
Il giorno dopo, prima di entrare in classe, lo vidi che stava salendo le scale della scuola. Allora gli chiesi di fermarsi. Mi sentivo così in colpa e dovevo scusarmi a tutti i costi. Ammisi che aveva avuto ragione fin dal principio e che mi ero pentito di aver ignorato un vero amico. Lui mi perdonò. Mi disse che non era mai stato geloso o invidioso, che gli avrebbe fatto piacere se avessi trovato nuovi amici, ma aveva già avuto a che fare con il circolo di Erik in passato e voleva mettermi in guardia. Io gli chiesi come mai mi avesse perdonato così facilmente. Lui mi rispose semplicemente che una vera amicizia come la nostra non sarebbe potuta finire così.