//#MajoranaDecameron#-3^B-ANDRA’ TUTTO BENE?

#MajoranaDecameron#-3^B-ANDRA’ TUTTO BENE?

di | 2020-04-20T18:15:02+02:00 20-4-2020 18:15|Alboscuole|0 Commenti
di Minerva Freda – 3^B –
2020.
Pandemia.
Coronavirus.
Quarantena.
Sono queste le parole che ronzavano, in continuazione, nella mia testa da più di un mese.
Rendersi conto che a 16 anni stai salvando l’umanità stando su un divano, è una cosa abbastanza strana.
“Tanto non arriverà mai da noi” avevo pensato mesi prima, quando l’unico mio pensiero era quello di divertirmi con i miei amici e di concludere il 2019 nei miglior modo possibile.
Non mi rendevo conto che, in un altro paese non lontano da me, stava nascendo un terribile nemico, uno dei virus più temuti del secolo: il Covid-19. Era così che si chiamava. Era un virus di cui non si sapeva né l’origine né la provenienza, ma così crudele, da aver procurato 3000 morti nel giro di poche settimane.
Nessuno pensava che sarebbe arrivato anche nel nostro Paese. Eravamo, tutti, convinti che una cosa del genere non sarebbe mai successa. Ed invece, lui, tramava già alle nostre spalle.
Iniziò da Codogno, la cui cavia fu un povero ragazzo che non aveva fatto niente di male, passando, poi, per Bergamo, per Milano, riuscendo ad arrivare ovunque in due settimane.
Io ero ancora, egoisticamente, convinta che tutto ciò che accadeva, a me non sarebbe mai potuto succedere. Pensavo che in un piccolo paese come Cellole, era quasi impossibile che arrivasse questo strano Covid.
Rimanevo legata alla convinzione che tutto quello fosse solo un sogno, un incubo.
I giorni passavano, le morti ed i contagi aumentavano sempre di più. La Lombardia, la regione più colpita, cominciò ad essere definita “zona rossa”. Nessuno più poteva entrare o uscire da lì.
In quelle settimane ci fu il caos: i treni venivano assaliti da chi fuggiva dal nord per tornare dai familiari al sud; i supermercati venivano, in continuazione, svaligiati; le mascherine erano diventate introvabili. Non avevamo nemmeno a disposizione delle strutture ospedaliere adeguate.
Gli ospedali erano, infatti, troppo piccoli ed i posti letto iniziarono a scarseggiare.
Il virus, non si fermò a colpire la sola Italia.
Non contento, si espanse anche in Francia, in Spagna, in Germania, arrivando in Inghilterra e negli Stati Uniti.
Amavo definire il Covid un predatore. Un predatore, così agguerrito, da non risparmiare nessuno. Non faceva distinzione tra chi era ministro, chi era principe, chi era di colore,  per lui eravamo tutti uguali. Eravamo delle succulenti prede da azzannare.
Poi accadde l’impensabile.
L’Italia diventò, tutta, zona rossa.
Finimmo tutti in quarantena.
Passavo le mie giornate a dormire, a mangiare e a volte anche a studiare. Quello che avevo sempre sognato, si stava realizzando. Partecipare a delle video lezioni online, mentre mangiavo, era sempre stato un qualcosa di irrealizzabile. Fino a quel momento.
Eppure, però, non ero felice.
Essendo una persona molto libera, che non ama le costrizioni e gli obblighi, dover stravolgere completamente la propria vita, e con essa le mie abitudine, mi destabilizzava.
Tutto ciò che avevo sempre ritenuto “normale” fino a qualche giorno prima, all’improvviso divenne sbagliato, strano.
Marzo fu uno dei mesi più brutti.
Nonostante fuori stesse sbocciando la primavera, l’aria che si respirava non era delle migliori.
Era come se si fosse fermato il tempo.
Sembrava, quasi, di essere tornati nel clima descritto da Manzoni ,nei Promessi Sposi, durante la peste del ‘600.
La gente aveva paura.
Io avevo paura.
Avevo paura che un giorno quel brutale calvario, potesse capitare anche a me. Ero terrorizzata dall’idea di rimanere isolata da tutto e da tutti, mentre avrei dovuto lottare tra la vita e la morte, attaccata ad un tubo che cercava di salvarmi in qualche modo.
Avevo paura dell’ignoto.
Non sapevo se e quando la situazione sarebbe finita.
Affacciandomi alla finestra della mia camera, vedevo le strade deserte, a tratti desolate, dove l’unica forma di essere vivente era qualche cane randagio che cercava qualcosa da mangiare.
Il panico prendeva possesso di me in modo repentino.
Sentire il ticchettio dell’orologio scorrere, mi faceva pensare a quanti medici, infermieri stessero combattendo, in quel preciso istante, per salvare delle vite, delle vite umane. Ed io, non potevo fare niente. Dovevo solo restare in casa, a fingere di credere che tutto potesse andare bene, ma non andava bene niente.
Le morti, i contagi, mi fecero capire come fosse stata sottovalutata la situazione.  Non potevo celare, che dietro un “Andrà tutto bene”, mi sentivo addolorata, ansiosa e preoccupata.
Ero, fondamentalmente, arrabbiata.
Arrabbiata con tutti. Con chi non era riuscito a fermare in tempo il nemico; con chi violava ciò che era stato imposto; con chi non aveva attuato le giuste precauzioni.
Ma, soprattutto, ero arrabbiata con me stessa.
Perché, sì, stavo salvando l’Italia seduta su un divano, ma non riuscivo più, interiormente, a sperare in qualcosa di positivo.
Avevo solo pensieri negativi.
Per me un futuro migliore, non ci sarebbe stato.
Quando vidi, poi, che la speranza di poter sopravvivere, man mano, stava svanendo nei cuori delle persone, inconsciamente, capii che per noi non ci sarebbe stato nessun lieto fine.