Di Minerva Freda – 4B – |
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Il titolo di apertura del Convegno dei Colloqui Fiorentini, dedicati quest’anno a Dante Alighieri, è un verso tratto dal I Canto dell’Inferno, prima opera racchiusa all’interno di quello che può definirsi il capolavoro, per eccellenza, dell’autore: la Commedia. |
Per chi non ne fosse a conoscenza, i Colloqui Fiorentini sono una manifestazione a carattere nazionale, positivamente affermata nel panorama scolastico e culturale italiano, proposta dall’associazione Diesse Firenze e Toscana. |
Da grande appassionata di letteratura quale sono, appena la mia professoressa di Italiano ci ha proposto di partecipare a questo Convegno, entusiasta, ho subito aderito. |
Nonostante il periodo di pandemia che stiamo vivendo, che, come ben sappiamo, ha reso impossibile ogni sorta di attività in presenza, il direttore Pietro Baroni e altri insegnanti non si sono persi d’animo e hanno dato luogo ad una delle più belle edizioni dei Colloqui Fiorentini. |
In occasione dei 700 anni dalla morte di Dante, nelle giornate del 18-19 e 20 marzo, siamo stati coinvolti in una serie di eventi online in diretta streaming, con lezioni, che hanno visto avvicendarsi esperti, scrittori, poeti, letterati e giornalisti tra i quali Pietro Baroni, Gilberto Baroni, Diego Picano, Alessandro D’Avenia, Davide Rondoni. |
Iniziamo per gradi. |
Il primo ad intervenire è stato il prof Diego Picano, docente di Lettere nella scuola secondaria di II grado, il quale, in modo molto esaustivo e coinvolgente, ci ha spiegato cosa Dante trovasse di bene nel male per eccellenza: l’Inferno. |
Egli ci ha messo di fronte ad un quesito: “Perché Dante è così convinto di aver trovato il bene, se si trova all’interno di ciò che richiama il dolore, la sofferenza, il peccato? Il peccato cos’è?”. |
Il peccato, ci dice, non è altro che uno spreco della bellezza. Questa bellezza è diversa da persona a persona. Per me può essere bella una giornata di sole, il profumo di una rosa, il sapore del mio piatto preferito e così via. |
La bellezza è qualcosa che suscita in noi un desiderio. |
Dante prova un desiderio, quando nei versi della Vita Nova: “Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia quand’ella altrui saluta” ci fa comprendere come egli sia sereno, tranquillo e beato nel vedere Beatrice. Le guarda i capelli, gli occhi, il viso e vorrebbe non smetter mai di rimirarla. |
Ma le cose belle finiscono e Beatrice viene strappata al mondo dalla morte. Così Dante, in preda a sentimenti negativi, intraprende questo viaggio durante la notte tra il 7 e l’8 Aprile del 1300, riuscendo, poi, a ricongiungersi a lei dinanzi alle porte del Paradiso. |
Il secondo intervento, invece, è stato quello di Alessandro D’Avenia, scrittore, insegnante e sceneggiatore il quale, fin da piccolo, è stato un grande appassionato della letteratura. |
Inizia col dire che i due libri più odiati dagli studenti sono i Promessi Sposi e, ironia della sorte, la Divina Commedia. |
Al secondo anno, infatti, viene inflitta agli studenti questa “tortura” di dover studiare il capolavoro manzoniano, mentre al triennio Dante e la sua Commedia accompagnano i pomeriggi di studio matto e disperatissimo.
Poi la bellezza di queste opere ci conquisterà senza abbandonarci mai più, perché ciascuno di noi sperimenterà nella propria vita le emozioni che gli autori ci offrono. |
Il canto che D’Avenia tratta, in modo particolare, è il V Canto dell’Inferno, sotto la guida del fedele libro dell’Inferno commentato da Franco Nembrini, dove entrano in scena due figure sì misteriose, ma molto affascinanti. |
“Amor ch’a nullo amato amar perdona…” |
Verso che, ognuno di noi ha sentito almeno una volta nella propria vita. |
A pronunciarla è Francesca da Rimini, coniugata Malatesta. |
Ella era figlia di Guido il Vecchio da Polenta, signore di Ravenna, che dopo il 1275 era stata costretta a sposare Gianciotto Malatesta, che, insomma, non era proprio un divo di Hollywood. Paolo, invece, altro grande protagonista di questo canto, è il fratello di Gianciotto e, a quanto narra Dante, ebbe una relazione adulterina con la cognata Francesca, che li portò alla morte. |
“Amor condusse noi ad una morte.” |
Francesca era una donna colta, esperta di letteratura amorosa e ci dice che il loro peccato fu quello di leggere la travagliata storia di Lancillotto e Ginevra e che lei e Paolo, come loro, intrapresero una relazione clandestina. |
Dante, spiega D’Avenia, si sente coinvolto nella vicenda, dal momento che il padre di Francesca è stato uno dei Signori che lo accolse alla propria corte, riconoscendone il valore e la grandezza poetica. |
Il poeta vuole esaltare questo sentimento d’amore gentile, poiché non è peccato amare una persona, finché questo amore resti una cosa astratta e resti sentimento. |
Il peccato, invece, quello che portò alla morte i due amanti, consiste nell’aver dato seguito a questo amore e essersi comportati di conseguenza. |
Il terzo intervento, personalmente quello che più mi ha colpito, è stato quello di Davide Rondoni, poeta, scrittore e drammaturgo. |
Egli ha iniziato presentandoci il personaggio del poliedrico Ulisse. |
Ulisse è fiamma che brucia tra i consiglieri di frode, insieme a Diomede. |
Ma perché Dante condanna uno che vuole conoscere? |
L’Ulisse del poeta fiorentino è diverso rispetto a quello di Omero nel poema l’Odissea. |
Dante si basa su una pagina de Le Confessiones di S. Agostino, dove dice che noi uomini cerchiamo con il desiderio di trovare e troviamo con il desiderio di trovare ancora. |
Sia Dante che Agostino vogliono considerare l’uomo che va alla ricerca del bene, della felicità, che vuole il meglio per la propria vita, ma si sente confuso. È impedito dalla presenza del male dentro e fuori di lui. |
Confonde il desiderio di conoscere con la brama del potere. |
Da questo nasce l’attenzione particolare di Dante nei confronti di Ulisse. Dobbiamo ricordarci che egli non conosceva affatto l’Odissea, essendo essa scritta in greco, ma si basa su ciò che è scritto da Cicerone nel De Finibus. |
Questo Ulisse dantesco è un uomo che non ha mai spento il suo ardore conoscitivo, che brucia dentro di lui. È talmente forte che va oltre l’amata patria Itaca, la moglie Penelope, il figlio Telemaco, il padre Laerte e il cane Argo. È un ardore che niente e nessuno è capace di frenare. |
Egli non parlerà mai dei suoi peccati legati alla frode, bensì tratterà del suo inconsapevole errore di aver oltrepassato le colonne d’Ercole, il limite del mondo, allora, conosciuto. |
E ci racconta dell’indovino Tiresia, il quale nell’Ade profetizza ad Ulisse una navigazione lunga, turbata dall’ira di Poseidone per aver accecato il figlio Polifemo. |
Tiresia non gli parlerà mai del destino come una via da seguire, ma ammette un cambiamento in esso da parte dell’operato dell’uomo. Infatti, anche se i compagni di Ulisse non avessero mangiato i buoi sacri ad Apollo e non fossero morti, era già stata decisa la vendetta sui Proci, per esempio. |
Ma è inoltre deciso che Odisseo non tornerà mai più a casa e compirà il suo ultimo viaggio in mare, dove sopraggiungerà la morte. |
Quindi, è come se Dante si paragonasse ad Ulisse ma, diversamente da quest’ultimo, il suo viaggio non finirà con la morte, bensì sarà un cammino verso il bene. |
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Dante, con i suoi versi, ci rende tutto il fascino della letteratura e ci mostra un cammino che ha come meta la scoperta della nostra vocazione di esseri umani. |
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I Colloqui fiorentini, come ci dice il prof. Gilberto Baroni, non hanno intenzione di accrescere il nostro numero di nozioni che possediamo, tantomeno su Dante, |
bensì ci aiutano a custodire il nostro sapere, il nostro ardore conoscitivo, al fine di diventare dei piccoli Ulisse che non si stancheranno mai di apprendere sempre di più. |
Riusciremo anche noi ad intraprendere un viaggio che, ci porterà, finalmente …a riveder le nostre stelle! |