Shein è il marchio fast fashion più famoso al mondo. E’ nato nel 2008 ma è esploso durante il periodo della pandemia, con una crescita sempre maggiore, fino a superare nel 2021 le vendite di Zara e H&M, arrivando ad un fatturato di 10 miliardi di dollari nel 2020. La sua grande crescita è stata possibile grazie ai prezzi contenuti, fruibili soprattutto tra i più giovani sempre senza un euro in tasca, ai capi alla moda e a un buon social media marketing. Si è quindi diffuso un abbigliamento pressoché usa e getta, con capi utilizzati nel quotidiano e poi buttati via a causa della scarsa qualità. Ciò ha prodotto un ulteriore inquinamento ambientale infatti quest’azienda immette in commercio ogni giorno migliaia di nuovi prodotti che, dopo essere stati utilizzati, non vengono riciclati e vanno a creare vere e proprie discariche di rifiuti tessili. Ma non solo. Shein, infatti, è un’azienda accusata anche di un grande sfruttamento della manodopera. Gli operai lavorano 17-18 ore al giorno, con un solo giorno di riposo al mese, per una paga mensile di poco più di 540 euro. I lavoratori, per contratto, devono produrre 500 capi al giorno, e in alcuni stabilimenti si è pagati solo dopo aver prodotto il capo. Inoltre, secondo degli studi effettuati su alcuni capi d’abbagliamento, negli indumenti venduti da Shein sono presenti sostanze nocive per l’ambiente e per la salute degli acquirenti. Queste sostanze, come il nichel o la formaldeide, sono presenti in quantità superiori rispetto ai livelli consentiti dalle leggi dell’Unione Europea, e si possono ritenere a tutti gli effetti illegali. L’inquinamento prodotto non arriva solo dallo smaltimento dei capi che, inutilizzati, ormai sono diventati dei rifiuti, ma inizia durante la produzione degli indumenti, durante la loro colorazione che spreca quantità esorbitanti di acqua e necessita di prodotti chimici inquinanti che, in paesi poveri e senza regole a riguardo, come l’India, vengono rilasciati nei fiumi. Questo inquinamento dell’acqua, dell’aria e della terra crea problemi alle popolazioni che vivono vicino ai centri di produzione della multinazionale, infatti in queste zone le persone sono più frequentemente affette da malattie e disabilità. L’inquinamento continua fino al trasporto di queste merci in Europa e altre zone del mondo. Il culmine del “ciclo di inquinamento” avviene quando i tessuti utilizzati vengono riportati in questi Paesi poveri sotto forma di rifiuti perché formano delle vere e proprie colline di indumenti che col tempo tralasciano le loro sostanze chimiche nel terreno. Il fast fashion produce, consuma e butta via più vestiti che mai. Gli europei buttano via 2 milioni di tonnellate di tessuti ogni anno. Ogni secondo, l’equivalente di un camion dell’immondizia di tessuti, viene messo in discarica o bruciato. Viviamo in un mondo caratterizzato dal sistema della moda veloce, che si basa sull’acquisto impulsivo, dettato dalla moda del momento, di vestiti prodotti con poca spesa che spesso finiscono per essere gettati via. Al momento, l’industria della moda è responsabile del 10% dell’inquinamento globale ed è il secondo principale inquinatore al mondo dopo il settore del trasporto aereo. L’inquinamento prodotto impedisce la formazione di un futuro rispettoso per il pianeta e per i suoi abitanti.