di Benedetta Di Lauro
Eravamo lì, immobili, scossi leggermente solo dal venticello freddo che sfiorava timidamente il nostro piumaggio color ebano.
Osservavamo lo scorrere del tempo, il cielo diventava sempre più rossiccio fino a scurirsi del tutto e poi pian piano iniziava a schiarirsi… le stelle lasciavano il posto al sole e poi il sole alle stelle, in un ciclo continuo.
Il tempo passava e con esso i mesi, le stagioni, gli anni…eppure nessuno sembrava accorgersi della nostra presenza, del nostro essere lì, dei nostri cinguettii che chiedevano disperatamente soccorso, semplicemente aiuto.
Eravamo lì da così tanto tempo da non riuscire più a respirare, nonostante le fessure presenti nella nostra gabbia, una gabbia piccola,molto piccola, che riusciva a malapena a contenere uno dei due; talmente piccola che le nostre code piumate si intrecciavano, talmente piccola da essere invisibile in quel prato vicino ad un albero silenzioso, che non aveva più neanche una foglia.
Sognavamo la libertà, quella libertà che ci era stata tolta un giorno di primavera, un giorno che segnò la nostra fine.
Eravamo a picchiettare sull’erba, quando un uomo si avvicinò silenziosamente e ci afferrò per le ali. Ricordo solo che aveva dei grossi guanti, forse per questo io non riuscii a fermare, con il becco, le sue mani, anzi fui io a farmi del male, perché le fibre di quel tessuto rimasero incastrate nelle mie zampette.Ma al mio compagno di disavventura andò peggio: l’uomo, forse per difendersi dal mio attacco mal riuscito,gli spezzò accidentalmente un’ala. Poi dopo ci chiuse in una gabbia e ci lasciò lì.Mi sentivo in colpa per quell’ala ferita.
Il suo cinguettio, che sapeva di acuto dolore, mi affligge ancora oggi, nel ricordo.
Eppure, con il trascorrere del tempo, lui sembrava stare bene… forse dentro di sé aveva trovato la sua libertà.Io avrei mai raggiunto quella sensazione?
Giorno dopo giorno, iniziavo a perdere le mie piume, il mio mantello color ebano era sempre meno folto, fino al giorno in cui il mio amico era insolitamente immobile, non che non lo fosse anche gli altri giorni, ma almeno prima muoveva leggermente la coda, ora più neanche quella.
Mi girai velocemente verso di lui, ma lo urtai con la mia coda e il suo corpo, ormai molto indebolito da una vita così difficile, oltrepassò le grate della gabbietta e precipitò giù.
Adesso voi penserete che gli uccelli non soffrano, ma invece non è così!
Proprio come tutti quando perdono un amico,anche io sentii un vuoto nel mio piccolo cuore, un cuore che aveva sofferto ingiustamente e continuava a soffrire, un cuore che stava per cedere, ma che palpitava ancora in un sussurro: “Libertà!”.