//Leopardi, nostro compagno di classe e… di vita

Leopardi, nostro compagno di classe e… di vita

di | 2021-11-22T16:06:37+01:00 20-11-2021 17:45|Alboscuole|0 Commenti
Il nostro ultimo anno di superiori é iniziato con molti argomenti abbastanza tosti e impegnativi un po’ in tutte le materie. Con Italiano abbiamo introdotto come uno dei primi argomenti Leopardi. Tra le tantissime e meravigliose opere composte dall’autore il nostro docente di italiano (Giordano) ha selezionato alcune che avrebbero più potuto interessare e restare impresse nelle nostre menti. Una che l’ha fatto in pieno tanto da portarmi scrivere queste riflessioni é stato “ L’ultimo canto di Saffo”. Questa poesia  tratta di una semplice ragazza che dentro di sé soffriva tanto, troppo e commette l’azione peggiore possibile. Faone , il giovane di cui si era innamorata,  sarà l’ultimo spiraglio di felicità per lei ma purtroppo la deluderà e la spingerà al suicidio. Nonostante ciò, nelle sue ultime strofe, ella le augurerà felicità nei prossimi giorni sulla Terra, gesto da donna vera e orgogliosa. C’é un passaggio di questa opera per il quale credo sia impossibile non provare un magone enorme dentro di sé, fa capire la sofferenza che Saffo provava in quei momenti, quando,  al colmo della disperazione, Saffo chiede gridando quale peccato avesse commesso, precisamente “ Quale colpa macchió la mia anima?” L’attualità di questa opera é impressionante, quante volte in tv o nei notiziari ascoltiamo notizie che parlano di arrivo in tempo delle forze dell’ordine per un tentato suicidio di una ragazza, ragazzo, adulto, anziano, per poi scoprire che sotto c’é una delusione amorosa, lavorativa o qualsiasi altro motivo che non giustifica per nulla questa azione, anche se posso solo immaginare il dolore provato in quei momenti. Purtroppo c’é da considerare anche la peggiore delle ipotesi, il fallimento del tentativo di salvataggio dei parenti o delle forze dell’ordine. Ecco ora pensateci, quante volte vi é capitato, non c’é solo una risposta, troppe. Leopardi, secondo me, soffriva come Saffo, la capiva, ma sapeva che era sbagliato , ingiusto, era come arrendersi mentre si sta giocando la partita più importante della propria vita, e per questo motivo decise in un certo modo di commemorarla e farla ricordare. Chissà quanti, come Saffo, soffrono per non veder apprezzate le loro qualità interiori, oggi più di ieri in  questa società dell’immagine (dei selfie) dove “virtù non luce in disadorno ammanto”. Ma, come scrive lo stesso Leopardi, “ veramente una giovane dai sedici ai diciotto anni ha nel suo viso nei suoi moti, nelle sue voci… un non so che di divino, che niente può agguagliare. Qualunque sia il suo carattere” (Zibaldone, 30 giugno 1828). Ed allora, perché disperarsi? ∼∼∼∼∼∼∼   LUCIANO GOLIA (5^ C)