di Gabriele De Nicolo, Filippo Centonze e Federico Centonze –
“Durante la guerra, la mia famiglia ha fornito lenti per occhiali a persone cieche”. Questa è la didascalia del quadro “Blind to see” di Adi Kichelmacher, uno dei tanti bellissimi quadri della mostra sull’identità allestita nel Palazzo Taurino, nel Museo ebraico di Lecce, fino al 28 febbraio. Noi associamo la cecità dei tedeschi all’indifferenza, alla paura, all’individualismo e la “vista” alla società sana, alla collaborazione, ma soprattutto alla solidarietà, ovvero l’aiutarsi l’un l’altro.
Adi Kichelmacher è un’artista che ha deciso di raccontare la storia della sua famiglia cucendo insieme i ricordi, i documenti, la storia. Nasce in Israele nel 1979. La sua famiglia di religione ebraica era proprietaria di un negozio di occhiali: è stata una delle poche attività concesse nel periodo della seconda guerra mondiale, poiché gli occhiali servivano anche ai nazisti. Adi dice che gli occhiali servivano ai tedeschi perché erano ciechi, cioè erano indifferenti di fronte alla sofferenza degli ebrei. Quella cecità generava discriminazione, paura nelle potenzialità “culturali” di un’altra nazione e l’intera società viveva con contrasti insanabili. La vista non deve essere solo quella fisica ma anche quella interiore che comprende il nostro corpo e la nostra persona, ma soprattutto quella che ci aiuta a non giudicare le persone e ci aiuta a convivere nella società senza alcuna paura e senza discriminazione nei confronti degli altri, senza avere disuguaglianze sociali ed essere solidali con le persone più deboli. Bisogna vivere in maniera attiva denunciando ogni forma di omertà; solo così si può creare una società sana, ricca di valori positivi in cui regni sovrana la tolleranza.