JANARA
La janara è una delle tante specie di strega presenti nelle nostre leggende popolane. Creatura del folclore campano, nata da un mondo di superstizioni, la janara nasce a Benevento per poi divenire tipica anche delle altre province della Campania, tra cui Caserta.
La janara, era una donna con una vasta conoscenza dell’occulto, della magia, capace di lanciare malocchi e che, a differenza della strega, era una persona insospettabile. Sempre presente alle messe domenicali, capace di condurre la vita di una brava madre di famiglia. La notte, invece, emergeva la sua vera natura sinistra, carica di odio ed invidia. Il nome janara ha una specifica etimologia nata inizialmente a Benevento: la rivisitazione volgare della Dianaria, sacerdotessa di Diana, dea della caccia ed associata all’elemento della Luna.
La janara era capace di esercitare rituali, insieme alle sue simili, ai piedi di un antico Noce beneventano, sulle sponde del fiume Sabato. La leggenda narra che tale posto fosse il luogo di ritrovo di ogni strega il venerdì, il sabato, e tutte le notti della luna piena. L’altro significato che viene attribuito alla janara, è quello che deriva dal termine ianua cioè porta, elemento che ritroviamo spesso nella rivisitazione casertana della storia. Ben presto, da Benevento, la credenza popolare si estese a quasi tutte le province della Campania, ognuna delle quali con particolarità tipiche. Di base, la janara era sempre quella donna insospettabile che conduceva una doppia vita. A Caserta la tradizione contadina era concorde col fatto che essa potesse infilarsi dappertutto, talvolta tramutandosi in vento, talvolta strisciando sotto le porte come olio, compiendo ogni malefatta possibile al povero sventurato preso di mira. La porta (da cui, appunto ianua, janara) se ben protetta, avrebbe potuto tenerla lontana. Secondo le più antiche leggende, le Janare si riunivano invocate da una cantilena che recitava: ” ‘nguento ‘nguento, mànname a lu nocio ‘e Beneviente, sott’a ll’acqua e sotto ô viento, sotto â ogne maletiempo” («Unguento unguento portami al noce di Benevento sopra l’acqua e sopra il vento e sopra ogni altro maltempo.»), esse tenevano i loro sabba (convegni) in cui veneravano il demonio sotto forma di cane o caprone.
La janara usciva di notte e si intrufolava nelle stalle dei contadini per prendere una giumenta e cavalcarla per tutta la notte e aveva l’abitudine di fare le treccine alla criniera della giovane cavalla rapita, lasciando il segno del suo passaggio. Per evitare il rapimento delle giumente si era soliti mettere un sacco di sale o una scopa davanti alle porte delle stalle, poiché la janara non poteva resistere alla tentazione di contare i chicchi di sale o i fili della scopa e mentre si trovava presa a contare sarebbe arrivato il giorno e sarebbe dovuta fuggire.
La janara solitamente era una esperta in erbe mediche che usava nelle sue pratiche magiche, come la fabbricazione dell’unguento che le permetteva di diventare incorporea e avere la stessa natura del vento. Contrariamente a tutte le altre streghe, era solitaria e aveva un carattere aggressivo e acido.
Secondo la tradizione, per poterla prendere bisognava afferrarla per i capelli, il suo punto debole. A quel punto, alla domanda “che tie’ ‘n mano?”, cioè “cosa hai tra le mani?” bisognava rispondere “fierro e acciaro”, (ferro e acciaio) in modo che non si potesse liberare. Al contrario, se si fosse risposto “capiglie'”, cioè capelli, la Janara avrebbe risposto “e ieo me ne sciulie comme a n’anguilla”, cioè me ne scivolo via come un’anguilla, e si sarebbe così liberata dandosi alla fuga. Inoltre si diceva che a chi fosse riuscito a catturarla, quando era incorporea, avrebbe offerto la protezione delle janare sulla famiglia per sette generazioni in cambio della libertà. Si accreditava alle janare anche la sensazione di soffocamento che a volte si prova durante il sonno, si pensava infatti che la janara si divertisse a saltare sulle persone cercando di soffocarle, si diceva che questo accadesse soprattutto ai giovani uomini. Inoltre si riteneva che i bambini, che avessero manifestato improvvisamente deformazioni nel fisico, fossero stati nottetempo passati attraverso il treppiede che si usava nel focolare per sostenere il calderone. “La janara ll’è passato dinto ‘u trepète”, “La janara lo ha fatto passare attraverso il treppiede”.
MAZZAMAURELLO
Il mazzamurello era un folletto di montagna. In quanto creatura fantastica appartiene a quello che viene definito “Piccolo Popolo”, ossia l’insieme delle creature fatate che compongono l’immaginario fiabesco delle tradizioni popolari. Caratteristica del mazzamurello era quella di produrre dei rumori all’interno delle abitazioni per manifestare la sua presenza nella casa.
L’etimologia del nome di questo folletto viene fatta derivare popolarmente proprio dai termini “mazza” (colpo) e “murello” (mura), per indicare la sua abitudine di battere contro le mura di una casa per manifestarsi. In ogni caso, secondo la tradizione fiabesca popolare, la presenza di un mazzamurello in casa indicava o la prossimità di trovare un tesoro o un pericolo imminente per uno degli abitanti o più spesso un messaggio di un caro defunto che cercava di comunicare con i vivi. I mazzamurelli erano infatti tradizionalmente considerati messaggeri tra il mondo terreno e il mondo dell’aldilà.
Apparivano e scomparivano più volte al giorno. Riuscivano ad infilarsi e a passare in ogni più piccola fessura, e spesso prendevano la forma di una folata di vento e si divertivano a far sbattere le imposte e a far tintinnare i vetri, oppure a far cadere sedie e tavoli. A volte si mettevano in mezzo ad una camera e lì saltellavano facendo giochi, scherzando, ridendo e sghignazzando. Poi si sedevano sul pavimento, con i piedi incrociati sulla nuca e in quella posizione camminavano stando sui palmi delle mani e se venivano sgridati si facevano perdonare facendo fuoriuscire da un cappello delle monete.
ERBANINA
Nel 1532 il Castello di Gioia Sannitica fu donato ad Ugo Villalumo, cavaliere spagnolo, da Carlo V, come ricompensa per il valore dimostrato nella battaglia di Pavia. Proprio a questo periodo risale una delle leggende narrate sul Castello e sulle sue vicissitudini. LA leggenda ci racconta della bella “Erbanina” di cui il cavaliere Villalumo si innamorò perdutamente, la sposò e la portò a vivere con sé all’interno del castello. Ma la fanciulla nascondeva un terribile segreto, il cavaliere non sapeva che la bellissima moglie era in realtà una janara che preparava unguenti, filtri, pozioni magiche e malefici di ogni sorte, e che la notte, con la luna piena, si ungeva per volare sopra il borgo dirigendosi verso il beneventano per ritrovarsi con altre streghe e stregoni e celebrare feste magiche in onore del diavolo, le così detta sabba. Presto iniziò il chiacchiericcio nel borgo e si allargò fino a giungere allo stesso Villalumo che iniziò a sospettare della bella moglie e cominciò a spiarla. In una notte di luna piena mentre la spiava, il Cavaliere vide Erbanina intenta ad ungersi con un unguento e poi lanciarsi dalla finestra della torre. Accecato dalla gelosia e adirato dalle continue bugie della moglie, sostituì l’unguento con della normale sugna. Un po’ di tempo dopo il rito si ripeté ma questa volta non riuscendo a volare la donna precipitò dalla torre e morì. Si racconta che il suo urlo fu talmente terrificante che se ne sentì l’eco per tutto il borgo per oltre un mese.