L’amore ai tempi del colera profuma di sogno, un lungo sogno ad occhi aperti. Come ha detto un lettore di mia conoscenza, leggerlo è come ascoltare una storia raccontata da un anziano un po’ troppo prolisso, che sa concatenare ogni argomento, per quanto diverso, trascinandotici dentro, senza farti accorgere del cambio di scenario. Personalmente, ho amato profondamente ogni pagina, ogni frase sapientemente scritta, il modo che ha Marquez di raccontare la vita di ben tre persone diverse e incrociarle tra loro, senza scadere mai nell’assurdo o nell’inverosimile, facendoti vivere ogni situazione, tanto da poter accarezzare le stoffe degli abiti, da sentire il profumo dei fiori e dei corvi e l’odore acre delle paludi e dei malati. È una storia e una narrazione che nonostante abbia i contorni ingialliti dal tempo e sia ambientata in una realtà e in un mondo praticamente scomparsi, riesce a farteli vivere come tuoi contemporanei. Sono passati due mesi da quando ho letto questa meravigliosa creatura letteraria e ho la netta sensazione di trovarmi ancora seduta nel parco in cui Fermina Daza passava per andare a scuola e in cui Florentino Ariza componeva le sue poesie, di viaggiare su un battello della Compagnia Fluviale del Caribe, di riposarmi nel caldo temperato del patio col dottore Juvenal Urbino e di passare le notti per la città con Florentino, triste e in cerca di amore. Quello che “L’amore ai tempi del colera” è in grado di offrire a una persona non è minimamente comprensibile dalla descrizione di nessuno ed è diverso per ognuno, naturalmente. L’unico modo per capire quello che intendo, è leggerlo, sentirlo e, se possibile, viverlo.
Eleonora Colongo