La società può essere interpretata non solo mediante il dualismo tra la classe dirigente e quella operaia, ma anche attraverso la radicale distinzione tra maschio e femmina. Vengono utilizzate le parole sesso e genere per distinguere l’identità biologica dai ruoli di genere, ovvero l’insieme delle aspettative e dei comportamenti socialmente appresi e associati a ciascuno di esso. È un processo che ha origine nella primissima infanzia, prosegue per tutta la vita e si stabilizza nella fase post-adolescenziale. Le differenze tra maschio e femmina sono di tipo biologico, ma sono ulteriormente marcate dalla società e dalla cultura attraverso i processi di socializzazione. Biologicamente ci sono delle diversità oggettive che riguardano ad esempio il sesso o la forza fisica. E’ la società che, mediante queste differenze, ha creato i costrutti sociali e i rigidi ruoli di genere che, come un copione, andrebbero seguiti e rispettati per rientrare negli schemi sociali. La socializzazione binaria influenza gli individui sin da piccolissimi e orienta gli atteggiamenti e i comportamenti umani sulla base di schemi interpretativi delle relazioni di genere che portano, come conclusione ultima, il primato sociale dell’uomo sulla donna. La socializzazione binaria è profondamente intrinseca alla nostra cultura, si manifesta tramite i giocattoli distinti per genere, i colori adatti al maschietto e alla femminuccia, le parole apparentemente innocue che nascondono discriminazione, la differenza di comportamento a cui sono destinati i ragazzi e le ragazze. Concorrono alla creazione della cultura maschilista: la famiglia, i mass media, la scuola, i gruppi dei pari, e tutti noi finiamo per non renderci conto di quanto siamo influenzati e di quanto inconsciamente manifestiamo comportamenti discriminatori. Chi non rientra nei ruoli di genere prova disagio e senso di inadeguatezza poiché non si sente accolto dalla società. È molto più comodo aderire agli stereotipi in quanto sono un luogo sicuro e ci permettono di mostrare maggiore autostima e sicurezza. Questo apparente benessere nasconde, però, la vera personalità di un individuo che, per rientrare negli standard sociali, rinuncia a se stesso e alla propria libertà. L’adolescenza è un periodo della vita di una persona delicato e fondamentale, e proprio in questa fase le domande su chi siamo, chi vorremmo essere e da chi siamo attratti sono caratteristiche. La risposte non sempre tengono conto di ciò che sentiamo, molto più spesso ci rifugiamo nella nostra comfort zone, finiamo ricoprire un ruolo, a volte anche con non totale consapevolezza, e a non scoprire davvero noi stessi. Le parole ci influenzano e gli stereotipi sono incanalati in tutti gli ambiti sociali. La suddivisione dei compiti lavorativi ha dato vita, col tempo, ai ruoli di genere, che successivamente sono degenerati e sfociati nella stereotipia, cioè qualsiasi opinione rigidamente precostituita e generalizzata, quindi non acquisita sulla base di esperienze dirette. Se una donna decide di dare inizio alla propria carriera lavorativa, verrà quasi sicuramente ostacolata perché, a parità di titolo e di merito, il datore di lavoro sceglierà di assumere l’uomo e non la donna per il “rischio” che possa rimanere incinta e portare problematiche all’azienda. In questi casi la donna è costretta a subordinarsi alla figura dell’uomo che, spesso, risulta essere violento e portatore di male. Privare una donna della propria indipendenza economica, solo per la mera possibilità che possa scegliere di diventare madre, è disgustoso. Nonostante l’Italia non privilegi l’entrata delle donne nel mondo del lavoro sono stati fatti numerosi progressi rispetto al secolo scorso e sono presenti, almeno sul piano teorico, numerose riforme a loro favore. Nonostante ciò le differenze sono estremamente marcate: la diffusione dei pregiudizi e degli stereotipi è inevitabile e da questo scaturiscono discriminazioni e violenze di genere. Esse sono la conseguenza delle alte aspettative relative all’essere maschio o all’essere femmina, questo perché i genitori pensano al bambino come un essere sessuato. Quest’ultimo costruisce un’immagine di sé che spesso rispecchia le relazioni con il nucleo familiare che, a loro volta, sono impregnate di stereotipi a causa della scuola, della cultura, dei media e della famiglia di appartenenza. Spesso, però, la definizione del sé non è immediata, perché il soggetto vive in una fase di confusione identitaria. Le violenze di genere invece riguardano, come da consuetudine, il genere femminile. Purtroppo siamo a conoscenza degli altissimi numeri riguardanti il reato di femminicidio che toccano non solo l’Italia, ma tutto il mondo. Arrivare a sopprimere una vita perché la donna non rispecchia le caratteristiche dello stereotipo fa rabbrividire e disgusta. Relegare una donna al solo ruolo di madre e casalinga, privandola di una propria indipendenza economica, è orribile. Ogni donna merita di realizzarsi a pieno non solo nella vita familiare, ma anche nella vita sociale e lavorativa, così come è avvenuto per Samantha Cristoforetti. È la prima astronauta e aviatrice italiana, la prima donna italiana negli equipaggi dell’agenzia spaziale europea; la prima donna europea comandante della stazione spaziale internazionale. La soluzione per fermare definitivamente gli stereotipi, le violenze e le discriminazioni è sicuramente la sensibilizzazione. La sensibilizzazione deve essere di tipo globale: a scuola, in famiglia, nei giornali, nei programmi televisivi, nei libri e nelle radio. Solo così si potrà vivere in un mondo animato dal rispetto e dall’amore reciproco, senza differenze stereotipate.