LA STORIA DI ANNA
Io sono Anna, una bambina ebrea, ho dieci anni e vivo a Lanciano.
Non mi sono mai sentita diversa dagli altri bambini, finché non arrivarono le leggi razziali che impedirono a tutti gli ebrei di andare al cinema o al teatro.
Dopo poco tempo la situazione è degenerata, infatti mia madre e mio padre non poterono più lavorare.
Ormai dalle finestre ogni giorno vedevo bambini e adulti gridare per non essere portati in un campo di concentramento, ma non riuscivano a scappare.
Un giorno ero in camera mia a fissare la neve che cadeva in Piazza Plebiscito, quando sentii strani rumori provenienti dall’ingresso.
Arrivarono due uomini molto alti, erano i fascisti, ci presero per il braccio mentre i miei genitori urlavano e gridavano aiuto e ci trascinarono fuori casa dandoci anche dei pugni e dei calci per portarci in un vagone merci di un treno.
Ero affamata e non riuscivo a muovermi perché a fianco a me c’erano tantissime persone.
Fuori nevicava e io avevo molto freddo. La mia mamma mi passò il suo scialle per coprirmi. Io le stringevo forte la mano perché avevo paura per quello che sarebbe successo da lì a breve.
Vedevo il viso serio di mio padre che era preoccupatissimo per cosa sarebbe capitato a me ed alla mamma. Si avvicinò a me e disse: “devi resistere ed essere forte” io lo abbracciai mentre le lacrime scendevano sul mio viso.
Il viaggio sembrò lunghissimo e quando scesi dal treno visi la scritta “AUSCHWITZ” e delle persone anziane che venivano portate nelle camere a gas.
Dovetti farmi scrivere sul braccio un numero, come un tatuaggio; sentii un po’ di dolore, ma mi preoccupavo di altre cose.
Rasarono i capelli a mia madre e mi separarono dai miei genitori.
Finii in una stanza con letti senza materassi e altri bambini.
Ogni giorno era uguale ad un altro: noi ci svegliavamo con la schiena dolorante per via della mancanza di un letto comodo e accogliente come il mio, poi ci davano un solo pasto al giorno, non mi piaceva, ma ero costretta a mangiarlo.
Pensavo sempre ai miei genitori e speravo che fossero ancora vivi.
Andavamo sempre a lavorare ed io dovevo cercare delle ricchezze nei vestiti delle persone morte.
A volte un signore veniva e portava con sé dei bambini, dopo scoprii che li portava via per farci degli esperimenti.
Il ventisette gennaio 1945, noi bambini uscimmo dalle baracche perché le truppe sovietiche erano riuscite a liberarci.
Io ero preoccupata per i miei genitori e uscendo vidi subito mio padre ma la mamma non c’era.
Abbracciai fortissimo papà e gli chiesi dove fosse la mamma e lui con le lacrime agli occhi mi disse:” tua madre non ce l’ha fatta”. Mi misi a piangere e non riuscii a dire una parola.
Io e papà dovemmo ricominciare una nuova vita, in Svizzera, dove finalmente ci sentimmo liberi.
Valentina Novello – IC UMBERTO I – LANCIANO