Ora che siamo costretti a distanziarci l’uno dall’altro, ora che dobbiamo mantenerci a distanza di 1 metro per debellare qualsiasi possibilità di contagio, ora che non possiamo più abbracciarci, né baciarci, né stringerci la mano capiamo l’importanza delle piccole cose che prima potevano sembrarci banali, capiamo quanto è importante confrontarsi con le persone e quanto è importante continuare a lottare senza mai arrendersi come quei dottori, quei medici che ogni mattina si svegliano pronti ad aiutare il prossimo.
Dei veri e propri eroi così come lo è stato Albert Bruce Sabin. Nasce il 26 agosto 1906 in un ghetto di Bialuystak, città polacca allora sotto il dominio zarista, un piccolo sognatore, screditato e odiato da tutti solo perché ebreo, costretto a emigrare con la sua famiglia negli Stati Uniti in cerca di migliori condizioni di vita. In America Sabin si laurea in microbiologia e virologia, nello stesso anno in cui scoppiò una terribile epidemia, la poliomielite, che comportava la paralisi dei muscoli. Il suo sogno era proprio quello di salvare tutti i bambini ammalati e così con l’aiuto di un suo professore riuscì a trovare il vaccino. Il Ministero della salute americano però non lo approvò e ancora una volta le discriminazioni razziali ebbero la meglio. Sabin non si perse d’animo tornò nella sua città e regalò il suo vaccino, un gesto altruista che pochi sarebbero riusciti a fare. Eppure quanto sarebbe bello che al termine del Coronavirus, qualcuno, un “eroe” seguisse le orme di Albert e una volta arrivato alla definizione del vaccino rimanesse anonimo permettendo la diffusione planetaria della sua scoperta. Sabin ci dice che il nazismo gli aveva sterminato una parte di famiglia, gli avevano ucciso due meravigliose nipotine e lui per protesta ne aveva salvate altre. Allora anch’io come Sabin credo che l’uomo più potente sia quello che riesce a trasformare il nemico in un fratello. È diventato così un esempio da seguire e diffondere ovunque, per ricordare al mondo intero che non esistono distinzioni di sesso, di razza o di lingua perché in un modo o nell’altro siamo tutti uguali!