Nella preghiera dell’Angelus di domenica 8 dicembre il Santo Padre ha chiesto a tutti i fedeli di pregare per i detenuti che si trovano attualmente nel cosiddetto “braccio della morte” in attesa di essere giustiziati, auspicando che la pena non venga eseguita. La pena di morte è l’esecuzione capitale cioè l’omicidio da parte di autorità statali riservato a coloro che commettono i crimini indicati dalle norme penali dei Paesi che la prevedono.
E’ una pratica che ha attraversato secoli di storia, ma che ancora oggi divide il mondo.
Infatti, nonostante sia aumentato il numero dei Paesi che l’hanno abolita , in altri esiste ancora.
La sua origine più antica risale al codice di Hammurabi, una raccolta di leggi in cui la pena era commisurata al danno arrecato, per poi attraversare l’antica Grecia e Roma. L’età Moderna vide un primo accenno di pensiero critico nel senso di una limitazione di tale pena, ma fu solo nel XIX secolo che molti Stati si mossero in questa direzione. Il primo Stato al mondo ad abolire la pena di morte nel 1786 fu il Granducato di Toscana che fece propria la tesi del Beccaria, filosofo giurista letterato dalla mente illuminata il quale, nella sua celeberrima opera ” Dei delitti e delle pene” del 1764, giunse a teorizzare la inutilità, oltre che la illegittimità della pena di morte.
Ad oggi la pena di morte è ancora in vigore in circa 24 stati, tra cui Cina, Iran, Arabia Saudita e Stati Uniti.
Ma come può una società evoluta giustiziare una persona?
I sostenitori della pena capitale ritengono che sia una misura necessaria perché avrebbe un effetto deterrente, scoraggiando i crimini per cui viene prevista e determinando, più in generale, una minore incidenza dei fenomeni delinquenziali . Inoltre, la sua applicazione rappresenterebbe una forma di giustizia per le vittime e le loro famiglie. “Chi toglie la vita, merita di perdere la propria” affermano alcuni sostenitori.
Ma i dati raccontano un’altra storia. Molti studi infatti, dimostrano che la criminalità non diminuisce con l’applicazione di questa pena, ma al contrario, aumenta. E se è del tutto comprensibile che i parenti delle vittime talvolta nutrano odio e rabbia nei confronti dei carnefici è altrettanto vero che lo Stato non può agire sull’onda di emozioni ma sulla base di valutazioni razionali e argomentazioni giuridiche per scongiurare spirali di odio e tutelare la pace sociale. D’Altra parte non è affatto vero che i parenti delle vittime invochino solitamente la pena di morte. Molto spesso sono persone addolorate che cercano di dare un senso alla scomparsa dei loro cari per i quali chiedono piuttosto giustizia.
Ciò nonostante nel 2023, secondo il rapporto annuale di Amnesty International, c’è stato il più alto numero di esecuzioni da quasi un decennio . Le esecuzioni sono state 1153, con un aumento di oltre il 30 per cento rispetto al 2022. Si tratta del più alto numero di esecuzioni registrato dal 2015.
Altre questioni da non sottovalutare sono : l’errore giudiziario che potrebbe essere commesso nel caso si applicasse questa pena a un innocente, l’uso strumentale della pena di morte indipendentemente dalla effettiva pericolosità sociale dei reati per cui viene applicata, il rischio di discriminazioni nella sua applicazione.
Infine c’è il quesito etico: è accettabile per uno Stato togliere la vita e macchiarsi dello stesso reato per il quale si sta condannando qualcuno? se un omicidio viene commesso da un cittadino comune, rimane un omicidio. Ma se lo stesso orribile reato viene commesso dallo Stato è molto di più : è la violazione del più importante e inalienabile diritto umano, il diritto alla vita che dovrebbe garantire e proteggere. Siamo sicuri che esista un crimine tanto grave da giustificare la morte come punizione? Uno Stato democratico e forte non ha bisogno di pene inumane ( che la nostra Costituzione non ammette) ma di processi giusti e certezza della pena.
Antonella Colonna