Ecco è ritornata la Mehari verde come la primavera, fresca come il profumo della libertà di cui ci parli, sfreccia per le città e ci riporta a te, Giancarlo.
Così la tua storia rivive vincendo il tempo limitato dell’uomo. Passa questo tempo, ma il tuo esempio illumina ciò che ha valore. Sei stato tenace, sicuro e, soprattutto, convinto che una è la verità, quella che le pagine del tuo giornale hanno progressivamente descritto.
Il dovere di un giornalista giornalista è “informare”, hai sostenuto a soli ventisei anni, così pochi per morire, ma così tanti per la forza con cui hai ricercato la verità.
Mentre Sognavi un lavoro stabile a “IL Mattino”, grazie alla tua forte passione per la scrittura e per le inchieste, hai scoperto ciò che, forse, non dovevi sapere, hai messo a rischio la tua vita per lottare contro un sistema di violenza e di morte. La tua mano ha tracciato in modo chiaro ciò che avveniva a Torre Annunziata, terra contaminata dalle serpi della Camorra e della corruzione politica. Erano gli anni della guerra fra la nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo e le famiglie emergenti dei Nuvoletta, Alfieri e Bardellino, affiliate a Cosa nostra. Quest’ultima voleva spodestare il boss di Torre Annunziata, Valentino Gionta, camorrista in ascesa con fortissimi legami nel mondo della politica ed dell’imprenditoria.
Il 10 giugno 1985, hai pubblicato su “Il Mattino” la cronaca dell’arresto di Valentino Gionta dichiarando che era diventato un personaggio scomodo, hai affermato che questo arresto avrebbe potuto “cambiare la geografia della Camorra” e hai sostenuto che” la Camorra e i politici camminano a braccetto”.
Ecco perché eri diventato “Una penna da fermare” la tua ricerca della verità e la tua voglia di giustizia firmavano, nello stesso momento, la tua gloria e la tua morte.
Il 23 settembre del 1985 il freddo e avido vento della Camorra
ha provato a spegnere la forza della tua penna, eppure la fiamma della tua verità vive ancora.