Per la seconda volta nella storia (per l’unico precedente occorre risalire al 1936, quando il premio non venne assegnato poiché la giuria non trovò a suo avviso nessuno meritevole) in questo anno che ormai volge al termine, il premio Nobel per la letteratura non verrà assegnato; non è ancora chiaro se il 2018 risulterà assente negli annali o se nel 2019 la giuria ne assegnerà due. Nessuno ne parla, nessuno sembra interessarsene, eppure il premio è un’istituzione culturale storica, assegnato fin dal 1895. Questo silenzio risulta ancora più strano se si ricercano i motivi di questa storica decisione: il fotografo Jean-Claude Arnaut, il marito della poetessa e membro dell’Accademia Katarina Frostenson, è stato accusato di molestie sessuali e in seguito condannato a 2 anni per stupro. Prima tre membri hanno abbandonato l’Accademia, accusandola di aver risposto in modo blando alle accuse di connivenza mosse alla Frostenson, poi altri tre e infine la Frostenson stessa in seguito alla condanna del marito. L’Accademia, trovandosi priva di membri sufficienti, ha deciso di rimandare l’assegnazione.
Per comprendere, o quantomeno provare a farlo, i motivi dietro il silenzio e il disinteresse mediatico che avvolgono questa vicenda, bisogna fare un passo indietro e tornare al 2017, in particolare alla nascita del cosiddetto movimento #metoo: in seguito a una serie di scandali nel mondo dello spettacolo, tra cui l’ormai celebre caso che coinvolse l’attrice Asia Argento e il produttore cinematografico Harvey Weinstein, cominciarono a emergere sempre più casi di molestie sessuali, stupri e violenze di vario genere, magari risalenti anche a decenni prima, che furono portati in tribunale ma soprattutto davanti al mondo intero. Una caratteristica del movimento #metoo è innegabilmente la sua natura mediatica, la consapevolezza e il coraggio di denunciare si diffusero a macchia d’olio attraverso i social network, la rete: questa caratteristica fu al centro del dibattito pubblico, nel bene e nel male.
Si è detto e si dice di tutto su #metoo: espressione di una nuova e ritrovata consapevolezza delle vittime di violenza, ultima propaggine di un femminismo ormai stanco e morente, esempio virtuoso di utilizzo della rete, gretto mezzuccio attraverso cui alcuni personaggi sono ascesi alla ribalta. Una cosa sola è certa: se ne parlava, comunque fosse visto se ne parlava. Oggi non se ne parla più: il mondo dell’informazione è forse per sua natura velocissimo, oggi lo è ancora di più, e ha già perso interesse nel movimento #metoo. La moneta della modernità è l’attenzione, il valore è il sapersela procurare, oggi #metoo non vale più nulla.
Uno scandalo enorme può anche portare il premio Nobel per la letteratura a saltare, sei membri su diciotto dell’Accademia a dimettersi, ma poiché il Nobel per letteratura non è un argomento che generalmente porti click ai giornali online o vendite ai cartacei e gli scandali sessuali hanno parzialmente perso mordente sul pubblico, nessuno ne parla. Cosa che sarebbe importantissima per riportare l’attenzione su un premio vinto da personaggi come Dario Fo, Neruda, Ungaretti, Hemingway e moltissimi altri ma che soprattutto è stato per decenni un’istituzione che, pur escludendo talvolta anche mostri sacri della letteratura tra cui, per citarne uno, Tolstoj, ha contribuito a diffondere consapevolezza e cultura. Cultura che forse oggi, come tutto ciò che non tiene il passo con la velocità della società liquida, come la definì Zygmunt Batman, sta morendo, perdendo di interesse agli occhi del grande pubblico. Sta a noi dunque, che di quel grande pubblico facciamo, che ci piaccia o no, parte riscoprire l’importanza non tanto del premio Nobel per la letteratura in sé, ma di ciò che rappresenta quest’ultimo: la celebrazione e il riconoscimento del ruolo fondamentale che deve avere la cultura nella società. Solo trovando il coraggio di non seguire pedissequamente le logiche della modernità, potremo essere nani sulle spalle di giganti, citando il celebre aforisma attribuito a Bernardo di Chartres, per vedere più lontano, verso il futuro.
Luigi Parodi