Niente da dire sulla golosità dell’uovo di Pasqua, che il cioccolato sia al latte o fondente. Nulla nemmeno sul significato simbolico della colomba pasquale. Ma avete mai provato la pastiera napoletana?
Qualsiasi dolce, pasquale e non, non riesce a superarla in bontà e prelibatezza.
Secondo la tradizione essa avrebbe origini pagane
Infatti, dobbiamo fare un salto indietro fino all’epoca romana o forse addirittura greca.
Secondo la leggenda, la sirena Partenope aveva scelto come dimora il Golfo di Napoli, da dove cantava e innamorava i marinai con la sua voce dolce e melodiosa.
Per ringraziarla la popolazione fece portare da sette fanciulle tra le più belle dei villaggi sette doni alla bella Partenope: la farina, simbolo di ricchezza; la ricotta, simbolo di abbondanza; le uova, che richiamano la fertilità; il grano cotto nel latte, a simboleggiare la fusione di regno animale e vegetale; i fiori d’arancio (o di altri agrumi, visto che la diffusione delle arance in quell’epoca era molto limitato), profumo della terra campana; le spezie e lo zucchero, per celebrare la dolcezza del canto della sirena.
Partenope, felice, si inabissò per fare ritorno alla sua dimora e portò le offerte ai piedi degli dei. Questi, inebriati dal suo canto, mescolarono con arti divine tutti gli ingredienti, trasformandoli nella prima Pastiera che superava in dolcezza il canto della stessa sirena.
Secondo un’altra leggenda, si racconta che per celebrare il ritorno della primavera, le sacerdotesse di Cerere portavano in processione l’uovo, simbolo della vita nascente poi diventato “rinascita” e Resurrezione con il cristianesimo, il grano o il farro, misto alla morbida crema di ricotta e da qui sarebbe nata la pastiera.
Un’altra ipotesi fa invece risalire la pastiera alle focacce rituali dell’epoca di Costantino, derivati dall’offerta di latte e miele che i catecumeni ricevevano durante il battesimo nella notte di Pasqua.
Un’altra vecchia leggenda racconta che un tempo sulla spiaggia, di notte, le mogli dei pescatori lasciarono delle ceste con ricotta, frutta candita, grano, uova e fiori d’arancio come offerte per il mare, affinché lo stesso lasciasse ritornare i loro mariti sulla terra sani e salvi. Al mattino ritornando sulla spiaggia ad accogliere i mariti, le stesse mogli notarono che le onde del mare avevano mescolato tutti gli ingredienti dando vita ad una torta che era proprio la pastiera.
Secondo la storia con molta probabilità essa nacque nel XVI secolo in un convento, come la maggior parte dei dolci napoletani. Probabilmente, quello di San Gregorio Armeno: un’ignota suora volle preparare un dolce in grado di associare il simbolismo cristianizzato di ingredienti come le uova, la ricotta e il grano, associandovi le spezie provenienti dall’Asia e il profumo dei fiori d’arancio del giardino.
Quel che è certo è che le suore del convento di San Gregorio Armeno erano delle vere maestre nella preparazione delle pastiere, che poi regalavano alle famiglie aristocratiche della città. “Quando i servitori andavano a ritirarle per conto dei loro padroni racconta la scrittrice e gastronoma Loredana Limone – dalla porta del convento fuoriusciva il profumo di quella delizia.”
Si dice che perfino l’ombrosa regina Maria Teresa D’Austria, “la Regina che non ride mai”, cedendo alle insistenze del marito,Ferdinando II° di Borbone, accettò di mangiare una fetta di pastiera e dopo averla gustata sorrise in pubblico per la prima volta. Fu proprio in questa occasione che Ferdinando fece una battuta e disse: “Per far sorridere mia moglie ci voleva la pastiera, ora dovrò aspettare la prossima Pasqua per vederla sorridere di nuovo“.
Sulla vera ricetta della pastiera napoletana, anche qui ognuno dice la sua.
La ricetta classica prevede la preparazione di una frolla a base di farina, uova, burro e zucchero semolato da sistemare sul “ruoto”, la tipica tortiera in alluminio dai bordi un po’ svasati. Per il ripieno occorrono invece latte, zucchero, ricotta di pecora, chicchi di grano, burro, frutta candita, uova, vaniglia, vanillina, scorza d’arancia e di limone, acqua di fiori d’arancio e cannella in polvere. Il tutto da decorare con le striscioline di frolla e poi da cuocere in forno, con spolverata di zucchero a velo finale.
Un primo dubbio riguarda il grano: oggi il grano precotto è di gran lunga la soluzione più pratica, ma la pastiera diventa ancor più vera se si utilizzano i “normali” chicchi di grano, messi a bagno in acqua tiepida per diversi giorni. Successivamente il grano per la crema si farà cuocere assieme a latte, scorza di limone, zucchero, cannella, vaniglia e un cucchiaino di burro, fino a quando il grano non avrà assorbito tutto il liquido.
Alcune ricette preferiscono il grano frullato; altre si dividono a metà: metà grano in chicchi e metà frullato. La cannella, inoltre, spesso compare come ingrediente facoltativo. In alcune ricette la ricotta non veniva unita alle uova ma alla crema pasticciera.
Secondo la tradizione la pastiera va preparata il Giovedì Santo e consumata a Pasqua, per dar modo a tutti i sapori di amalgamarsi.
Melany Elettorale, Ceglia Elvira 2^I