Di Valeria Agosta – “Maestra, ho un dubbio: tu ci hai detto che la parola gentilezza è un nome astratto, ma se io aiuto un compagno è una cosa concreta”. Parte da qui, in un giorno qualunque di scuola, la riflessione che ci porta a chiudere il quaderno di grammatica e a seguire un percorso di pensieri ed esperienze condivise sulla gentilezza.
Quante volte, in classe, noi insegnanti ci troviamo a stimolare il confronto su temi fondamentali per la convivenza civile: pace, onestà, libertà, solidarietà, rispetto,… con l’intento di incoraggiare i nostri alunni a individuare e poi a cogliere le occasioni quotidiane che ci permettono di tradurre tali concetti in esperienze vissute.
Quel giorno la “gentilezza” chiedeva di entrare nei nostri discorsi, chiedeva di essere riconosciuta, di essere accolta e nutrita e noi le abbiamo spalancato la porta.
Ho seguito i bambini nel loro confronto spontaneo e, di tanto in tanto, lanciavo qualche domanda: si può essere gentili senza sembrarlo? E sembrare gentili senza esserlo? Si può essere gentili con gli altri tutto il tempo? Si può essere gentili per interesse? Si deve essere gentili con tutti? Come ci sentiamo quando qualcuno non è gentile con noi? …
Alla domanda su cosa possiamo fare quando riceviamo una gentilezza, in coro mi hanno riposto: “RINGRAZIARE!” e poi qualcuno ha proposto anche la possibilità di ricambiare la gentilezza ricevuta.
Ma siamo sicuri di riuscire sempre a notare le gentilezze che ci vengono donate? Quante volte ciascuno di noi gode di un atto spontaneo di gentilezza senza rendersene conto e spreca così l’occasione di percepire quel senso di gratitudine che alimenta la bellezza del vivere. Ci rimangono impresse le discussioni e le parole scortesi, ma, fosse anche solo un sorriso regalatoci da qualcuno, diamo la stessa rilevanza ai gesti gentili?
Abbiamo perciò iniziato a osservare l’ospite del giorno da un altro punto di vista: oltre a chiederci come possiamo essere gentili, ci siamo domandati come allenare la nostra capacità di notare le gentilezze che riceviamo, anche quando l’autore ci resta sconosciuto. Nasce così l’idea della nostra “scatola delle gentilezze”.