di Angelo Alfieri e Simone Raineri IID
Tra i fatti più scioccanti verificatisi quest’ estate c’è quello degli incendi nella foresta amazzonica a un ritmo senza precedenti. In un’epoca in cui non si fa altro che parlare di sviluppo sostenibile e di salvaguardia del pianeta si è invece verificato un disastro di dimensioni enormi. Questo fenomeno si verifica già da molti anni perché con il disboscamento di un’area così vasta si ottengono grandi quantità di legname e campi da coltivare o da utilizzare per il pascolo degli animali. Nelle ultime settimane sono stati rilevati oltre 9500 incendi, per un totale di 74000 da gennaio ad agosto 2019. Gli incendi diffusi hanno trasformato il giorno in notte nella città di San Paolo e sono andati a discapito delle popolazioni povere come le tribù di indigeni che vogliono solo vivere nella loro foresta ma sono costretti a scappare. Il presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, che favorisce gli interessi dei latifondisti, è stato contrastato dalle maggiori potenze mondiali e ciò nonostante, si è difeso sostenendo che i problemi della foresta amazzonica riguardano il Brasile. Secondo il servizio Copernicius sui cambiamenti climatici dell’unione europea, un netto picco delle emissioni di monossido di carbonio e di anidride carbonica in atmosfera, è all’origine dell’effetto serra. Nonostante geograficamente la foresta amazzonica appartenga al Brasile, non bisogna dimenticare che le sue dimensioni la rendono il polmone verde più grande del mondo e che produce il 20% dell’ossigeno presente nell’atmosfera. Quindi permetterne la distruzione significa compromettere le generazioni future che vedranno sempre più danneggiata l’atmosfera in cui vivono.