Di Luigi Ficociello-IVD
Nonostante nella schiera dei Grandi Poeti (presentata nel IV canto dell’Inferno) egli sia posizionato da Dante solo al terzo posto per importanza, Ovidio viene molto considerato dal poeta fiorentino, tanto che la stessa Commedia può essere vista come un’opera ispirata al capolavoro del poeta latino, Le Metamorfosi. Quest’opera riprende una tesi espressa nel Timeo di Platone, relativa alle anime che devono compiere un processo di purificazione dalle passioni, prima di poter tornare alla sfera celeste alla quale appartengono. Nel suo poema, Ovidio canta l’intera storia del mondo, fin dalle sue origini come una storia di trasformazioni: tutti gli episodi della mitologia greco-romana sono riscritti, mettendo in primo piano il cambiamento.
Nella Divina Commedia, invece, il cambiamento non è descritto dal punto di vista fisico, ma da quello spirituale, è la metamorfosi dell’io, è l’allontanamento dal peccato, è una tensione e, contemporaneamente, un avvicinamento alla redenzione.
Nei canti dell’Inferno le anime dei dannati sono descritte non più come esseri umani, bensì come bestie (Vanni Fucci, nella bolgia dei ladri, descrive la sua come una “bestial vita”).
Nel regno del Purgatorio, invece, si ha il recupero da parte delle anime della propria umanità. Nonostante esse siano comunque sottoposte a varie sofferenze, Dante si riferisce a loro non più come bestie, bensì come esseri umani (viene utilizzata, infatti, la parola “omo”) che stanno completando il loro percorso di purificazione. Nel Purgatorio, inoltre, Dante anticipa il suo percorso di divinizzazione che avverrà nella terza cantica. Nel IX canto, infatti, il poeta sogna di essere rapito da un’aquila così come accadde a Ganimede, il quale secondo la mitologia fu divinizzato.
La metamorfosi più alta è “l’ineffabil trasumanar”. “Nel suo aspetto tal dentro mi fei, / qual si fé Glauco nel gustar de l’erba / che ’l fé consorto in mar de li altri dèi. // Trasumanar significar per verba / non si poria; però l’essemplo basti / a cui esperïenza grazia serba” (Paradiso, I, 67-72). Mentre nell’opera di Ovidio Glauco diventa una divinità marina mangiando un’erba magica, il poeta fiorentino, nel Paradiso, completa la sua ascesa verso Dio tramite Beatrice, luce deificante che permette al Sommo Poeta di tornare ad essere un “uomo di luce”. Fasciato di luce viva Dante può finalmente vedere il volto abbagliante di Dio.
Se si guardano questi esempi, si può capire che la linea metamorfica seguita da Dante è quella che parte dal non uomo infernale, bestia, pianta, all’uomo finalmente uomo del Purgatorio, per culminare all’uomo Dio del beato regno. Questo è il viaggio metamorfico di Dante e di tutti noi.