di Nicole Pinto –
“E, per quanto riguarda questa richiesta della pena, di come debba essere la pena, un giudizio negativo, in linea di principio, deve essere dato non soltanto per la pena capitale, che istantaneamente, puntualmente, elimina dal consorzio sociale la figura del reo, ma anche nei confronti della pena perpetua: l’ergastolo, che, privo com’è di qualsiasi speranza, di qualsiasi prospettiva, di qualsiasi sollecitazione al pentimento e al ritrovamento del soggetto, appare crudele e disumano non meno di quanto lo sia la pena di morte”.
Con queste parole ALDO MORO sottoline il suo rifiuto categorico dell’ergastolo e della pena di morte, posizione politica e morale che poi ha avuto indubbiamente un peso nell’elaborazione dell’art. 27 della costituzione, che stabilisce che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Ed è proprio in nome del “senso di umanità” che in Italia non esiste la pena di morte e l’ergastolo prevede una condanna massima di trent’anni, riducibili per buona condotta.
Principi straordinariamente belli, ma difficili da accettare quando ci troviamo di fronte a quelle persone colpevoli di omicidio, a cui è già stata data la possibilità di pentirsi scontando la pena e di reintegrarsi nella società, ma che una volta liberi tornano a commettere lo stesso reato. O ancora come possiamo accettare tali principi quando ci troviamo di fronte a chi commette atti di violenza estrema nei confronti di bambini?
“I primi risultati dell’autopsia eseguita sul corpo del bambino di sette anni ucciso di botte domenica 27 gennaio da Tony Essobti Badre, il compagno della madre, a Cardito (Napoli), parlano di emorragia interna o frattura della base cranica”.
Queste sarebbero le cause del decesso, che si sarebbe potuto evitare se qualcuno avesse chiamato i soccorsi. L’uomo, 24enne accusato di omicidio volontario e tentato omicidio aggravato, ha ammesso di aver assunto hashish: “avevo fumato diversi spinelli, lo faccio ogni giorno”. Sabato sera i bambini avevano rotto il letto della cameretta e lui li aveva già picchiati a mani nude. Domenica mattina Giuseppe e Noemi stavano facendo di nuovo confusione, lo stavano disturbando! Così, ancora una volta, è stato lui a intervenire per “educarli”, come faceva di solito perché, secondo quanto ha raccontato anche al gip “Valentina (la madre) è troppo permissiva con i suoi figli”.
Questa la brutalità con cui una settimana fa un bambino di soli sette anni è stato colpito più volte e lasciato morire senza che fossero richiesti aiuti.
Come si possono accettare le parole di Aldo Moro e i principi della Costituzione e della giustizia italiana di fronte a fatti così terribili?
Queste persone, penso, non saranno mai capaci di capire la gravità delle loro azioni. È vero che condannare alla morte significa commettere “un omicidio” e quindi ripetere il reato commesso dal colpevole ed è vero anche che dev’essere data a tutti la possibilità di capire i propri errori e reintegrarsi nella società, è vero che bisogna insegnare ai colpevoli a comportarsi correttamente, ma tutto questo è vero solo a parole.
Sì, perché sappiamo bene che anche il discorso del reintegro nella società è una cosa più teorica che pratica, perché la società, che a parole si dice pronta a perdonare, in realtà guarda sempre con sospetto e a volte disprezzo la persona che ha commesso dei reati gravi. Io penso che sia difficile, anche per chi è contrario alle pene gravi, riuscire a fidarsi di soggetti ritenuti “pericolosi”. E allora quale reintegro? Usciti da prigione, i colpevoli di reati gravi torneranno nella maggior parte dei casi a commettere altri reati, perché se “sbagliando si impara”, non bisogna dimenticare che “il lupo perde il pelo ma non il vizio”.