La fine degli anni ’60 fu caratterizzata in Italia dalo scontro sociale che ebbe come protagonisti prima gli studenti, poi la classe operaia.
La mobilitazione degli studenti universitari, iniziata nel ’67 e cresciuta nei primi mesi del ’68, portò all’occupazione di numerose facoltà universitarie, a grandi manifestazioni di piazza e a frequenti scontri con le forze dell’ordine.
La contestazione giovanile, mentre riprendeva temi e obiettivi già presenti negli altri movimenti studenteschi dei paesi occidentali, assunse in Italia una forte ideologizzazione in senso rivoluzionario.
Cresciuto nella lotta contro l’autoritarismo accademico e lo stesso principio della selezione scolastica, il movimento studentesco assunse una posizione sempre più ostile nei confronti del sistema capitalistico e della “cultura borghese” in generale.
La critica alla società borghese divenne rifiuto della prassi politica tradizionale, esaltazione della democrazia di base, dell’egualitarismo e della spontaneità.
La ricerca di un nuovo modo di far politica fu accompagnata, per molti giovani nati fra la fine degli anni ’40 e l’inizio degli anni ’50, da una vera e propria rivoluzione dei comportamenti che coinvolgeva i rapporti personali, il ruolo della famiglia e le relazioni fra i sessi.
Promosso all’inizio da una minoranza di estrazione borghese e allargatosi poi, col coinvolgimento degli studenti medi, a strati sociali più ampi, il movimento studentesco, a partire dall’autunno ’68, trovò il suo interlocutore privilegiato nella classe operaia. La ricerca di uno stabile collegamento col proletariato derivava in parte dall’influenza di gruppi di intellettuali da tempo schierati con la classe operaia, ma più in generale era dovuta alla presenza di una forte tradizione marxista che aveva caratterizzato per tutto il dopoguerra la cultura della sinistra italiana.
L’operaismo fu anche il tratto distintivo di alcuni fra i nuovi gruppi politici che nacquero fra il ’68 e il ’70 (tutti di vita più o meno breve) sull’onda del movimento studentesco e che, per sottolineare il distacco dai partiti tradizionali rappresentati in Parlamento, furono chiamati “extraparlamentari”.
Legata alle lotte del ’68, fu infine la nascita del “Manifesto”, gruppo costituitosi nel ’69 e culminata, alla fine di quell’anno, nel cosiddetto autunno caldo. Le lotte ebbero come principale protagonista la figura dell’operaio, ossia del lavoratore scarsamente qualificato, spesso immigrato, sul quale gravavano i disagi dell’inserimento nel contesto urbano e l’insufficienza dei servizi sociali.
Le tre maggiori organizzazioni sindacali (Cgil, Cisl, Uil) conclusero infine una serie di contratti nazionali che assicurarono ai lavoratori dell’industria dei vantaggi salariali. Cominciò allora una fase in cui i sindacati assunsero un peso crescente nella vita del paese, trattando direttamente col governo anche questioni non proprio attinenti ai rapporti di lavoro.
Nel complesso, le lotte degli studenti e degli operai, trovarono pochi sbocchi in un sistema politico che rivelò nell’occasione la sua rigidità e chiusura. L’unico intervento di rilievo nel campo dell’istruzione fu la liberalizzazione degli ingressi alle facoltà universitarie; furono tuttavia firmate in questo periodo alcune leggi importanti, quali lo Statuto dei lavoratori (1970) e la legge Fortuna-Baslini, che introduceva in Italia il divorzio.