La caravella (dal portoghese caravela) fu un tipo di veliero introdotta intorno al 1451 dai portoghesi, presumibilmente nell’arsenale di Lisbona o nella residenza di Sagres (Algarve) del principe Enrico il navigatore che fungeva al tempo da scuola nautica e arsenale sperimentale.
Fu concepita come un natante da esplorazione capace di circumnavigare l’Africa e raggiungere così le Indie orientali senza dover pagare tasse agli Ottomani.
Nella sua forma nuova ed evoluta, sviluppata dal peschereccio nordafricano “qārib”, era agile, facile manovra, da 1 a 3 alberi a vela latina che ne facilitava il galleggiamento. La limitata capacità di carico e di equipaggio ne erano i principali svantaggi ma ciò ebbe poca rilevanza fintantoché si trattò di navi destinate all’esplorazione.
Nell’immaginario collettivo, le “caravelle” sono le tre navi con le quali Cristoforo Colombo raggiunse i Caraibi nel 1492: la Niña, la Pinta e la Santa María. In realtà, quest’ultima era una nave e non una caravella.
Posto che la pronuncia è nigna, il suo più che un nome era un soprannome; infatti il proprietario di questa imbarcazione più piccola si chiamava Juan Niño. Il suo cognome vuol dire bambino in spagnolo e la nave fu quindi soprannominata la Niña cioè la bambina, forse anche per la sua stazza ridotta. Il suo vero nome era Santa Clara.
La Pinta, non è da associare all’alcol. Sbagliato perché vuol semplicemente dire dipinta in spagnolo. Forse il soprannome derivava da una sua particolare colorazione, ma sono congetture.
Il nome dell’imbarcazione, nota come Santa Maria, era “La Gallega” che significa la galiziana, ma in quel periodo dalla Galizia provenivano convenzionalmente anche le prostitute. Una delle teorie è che il cattolicissimo Colombo non potesse permettere che una così nobile spedizione avesse una nave dal nome scabroso. Pertanto la ribattezzò Santa Maria dell’Immacolata Concezione – per gli amici Santa Maria.
Fino al XV secolo, i marinai dell’Europa meridionale e centrale avevano limitato le loro imbarcazioni alla semplice navigazione sulle coste, utilizzando tipi di legni arcaici: il gozzo, che pesava 25-30 tonnellate, era parzialmente coperta ed condotta a remi con 14-15 uomini che di solito potevano riempire la capacità della nave; ed il barinello con albero singolo e vela quadra, non adatta alla navigazione in acque oceaniche.
L’unico natante “oceanico” in uso al tempo in Portogallo era la nau, una versione evoluta ma dalle dimensioni troppo grandi, oltre le 100 tonnellate.
C’era bisogno di navigli più grandi, per equipaggi più numerosi e maggior carico, oltre che più manovrabili.
Fu intorno al 1451 che un principe portoghese, Enrico il Navigatore promosse la creazione di un nuovo tipo d’imbarcazione che sviluppasse le innovazioni tecnologiche dello stile portoghese, un’imbarcazione utilizzata da lusitani e genovesi per commerciare dal Mediterraneo al Mar Baltico, per dare ai suoi marinai un’imbarcazione capace di rispondere alle necessità tecniche imposte dal progetto d’esplorazione delle coste atlantiche dell’Africa.
I carpentieri portoghesi presero spunto dai pescherecci introdotti dagli arabi in Spagna, i qārib, sviluppando la caravella. Il nuovo tipo di nave, robusta e facilmente manovrabile, divenne il legno preferito dai grandi esploratori portoghesi che costituirono l’impero commerciale del paese nel Continente Nero, nelle Indie Orientali e nelle Indie Occidentali: Bartolomeo Diaz, Ferdinando Magellano, Vasco da Gama, ecc.
La Spagna era una potenza formidabile sull’Atlantico e sul Mediterraneo perché sapeva come adattare le sue navi allo scopo e all’ambiente in cui navigavano che si trattasse di galere per la guerra o d’imbarcazioni per l’esplorazione.
Alla fine del XVII secolo, le caravelle non vennero più utilizzate per l’esplorazione, sostituite dagli agili imbarcazioni a due alberi, e tornarono a essere navi da pesca per i galiziani.
L. Mele 2^H