Pietro Condotta, 3^A –
La lirica “Alla Luna” venne scritta da Giacomo Leopardi nel 1819. Avendo passato essenzialmente tutta la sua infanzia chiuso in casa a studiare (con conseguente contrazione di diverse malattie) Leopardi divenne sempre più, col passare degli anni, pessimista: considerava la natura “matrigna”, che promette ma non mantiene.
Questa poesia in origine si chiamava “La Ricordanza” perché il tema principale della poesia è proprio il ricordo: un anno dopo aver scritto “L’ Infinito”, Leopardi narra del suo ritorno sul monte Tabor e parla alla luna come fosse una sua cara amica. Le parla, appunto, del ricordo della sua giovinezza “quando ancor lunga la speme e breve la memoria ha il corso” e quel ricordare lo rende felice. A volte faccio fatica a capire Leopardi: mi piace l’idea, il concetto del ritorno ad un luogo che già gli aveva fornito ispirazione e dell’ abbandonarsi, questa volta, al ricordo e non all’immensità, ma che senso ha ricordare un momento in cui stava comunque soffrendo?! Capisco che gioisca tornando alle sofferenze che ora sente meno “acute”, ma è comunque strano…
Per il resto mi piace l’utilizzo di termini desueyi anche nell’ 800, quasi a simboleggiare che solo la luna, con cui parla spesso, possa comprenderlo.
Tutto sommato è davvero una bella poesia (continuo a preferire “L’ Infinito” però!), e per una volta una poesia di Leopardi mi ha strappato un sorriso: è bello vedere che pure lui sa essere felice con qualcosa di semplice come “ricordare” senza dover ricorrere a “interminati spazi” e “sovrumani silenzi”!