di GIADA FRANCIA (3AO) e LUCA PAOLETTI (2AO) – IIS G.da Catino di Poggio Mirteto. Il 19 marzo a Poggio Mirteto si è tenuta la giornata della legalità, durante la quale la nostra scuola ha avuto l‘occasione di ospitare il Capitano ULTIMO, colui che arrestò il capo di “Cosa Nostra”, Totò Riina, soprannominato “la belva “. Noi ragazzi del giornalino abbiamo avuto la fortuna di poterlo conoscere di persona e di porgli alcune domande.
1) Cosa l’ha spinta ad intraprendere questa carriera?
Nel mio paese vedevo l’anziano in difficoltà che veniva trattato come un parente ed era aiutato da tutti. I cacciatori di cinghiali che tornavano la sera dopo una battuta di caccia distribuivano a tutti gli abitanti del paese la cacciagione e la davano anche a quelli che non avevano niente, senza chiedere nulla in cambio. Queste cose ti entrano nel cuore quando sei piccolo e capisci che quello è il tuo popolo e da lì mi è venuto il desiderio di intraprendere questa carriera, aiutando gli ultimi.
2) Che cos’è successo quella mattina del 15 gennaio 1993?
Mi ricordo che, dopo tanto lavoro, avevamo raggiunto l’obiettivo. Io ho fatto solo il mio lavoro da comandante e da quel giorno sentii una sorta di liberazione. Guardando “la belva” negli occhi, ho visto una persona che aveva perso, aveva paura, che chiedeva solamente aiuto e si domandava chi fossimo; più avanti capì chi eravamo.
3) Cosa ha provato quando era sotto processo? Ha mai avuto paura di essere condannato ingiustamente o ha sempre riposto fiducia nella giustizia?
Io ho fiducia in Gesù, perché ho la fede; la paura ce l’hai: ho paura di tutte le cose che faccio, ringrazio Dio per la mia paura. Io ho camminato, ho combattuto, gli altri hanno il potere di giudicarmi ma non è un mio problema.
4) Ormai il volto coperto è il suo simbolo di riconoscimento cosa significa questo per lei?
Significa nascondersi e non esibire un grande fisico o un grande carro armato, l‘invisibilità è la forza nel bene e nel male. Cosa nostra era forte fino a quando era un organizzazione segreta, non sapevamo come uccideva non sapevamo nulla. Adesso sappiamo tutto: come era organizzata la famiglia, qual era la loro gerarchia e adesso che sappiamo ciò, hanno perso il loro potere, perché sono diventati un organizzazione comune. La segretezza era anche la forza delle Brigate Rosse, quando uccidevano e non si sapeva chi erano. E quindi essere invisibili è tutto quello che possiamo fare. Ciò ti impone anche di non essere al centro della scena, ti mette in condizione di sparire, di tornare in questi piccoli paesi dove sono cresciuto.
Nel corso dell’intervista sono state rivolte al Capitano altre domande. La nostra preside Maria Rita De Santis ha chiesto:“Cosa lo spinge ad avere una fede cosi fervida?”
A questa domanda il Capitano Ultimo ha risposto:
Nella mia vita, quando ho visto le mani che chiedevano, le mani della gente misera, distrutta che chiedevano, lì in quegli incontri, a volte, non sempre mi è sembrato di vedere Gesù.
Sicuramente questo incontro con il capitano Ultimo ci ha particolarmente colpito, perché ha rappresentato un’occasione irripetibile. Èstato molto interessante vedere come un uomo che ha fatto così tanto si dimostri tanto umile e non voglia essere celebrato come un eroe.
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