Simone Frigiola 4AT
Quando qualcuno sente parlare di volontariato associa subito il gesto che il concetto evoca a qualcosa di noioso e inutile che non dà alcun risultato di ritorno. Eppure in questo momento storico proprio di quel gesto si ha un disperato bisogno.
Mi piacerebbe partire prima di tutto da qualcosa su cui difficilmente ci si ferma a pensare ovvero il perché tanti stiano facendo volontariato. Uno studente ingenuo potrebbe pensare che il motivo sia uno soltanto e cioè il fatto che il volontariato faccia sentire la persona che lo fa a posto con se stesso e con il mondo. Non dico che questa motivazione sia sbagliata, ma solo che a mio avviso sono pochissime, tanto da risultare quasi l’eccezione, le persone che fanno volontariato per questo motivo. Il fatto è che molte più persone, sempre a mio avviso, si avvicinano al volontariato per dimostrare a qualcun altro di essere migliori o per sfuggire per qualche ora alla noia delle mura domestiche con la scusa di fare la spesa per il vicino anziano. Questo non vuol dire che ogni ragazzo, o ragazza che sia, che va a fare la spesa per il vicino anziano abbia necessariamente questa motivazione.
Devo dire, per fare un parallelismo con Manzoni, a cui mi sono riavvicinato di recente, che non è detto che tutti a questo mondo siano Donna Prassede. Si può anche pensare di essere Fra Cristoforo o Don Rodrigo. Mi spiego… Donna Prassede, per chi non ne fosse al corrente, è quel tipo di persona che fa del bene perché si dica che lei fa del bene e non perché senta veramente questo bisogno… Fra Cristoforo è colui che fa del bene perché vuole fare del bene, mentre Don Rodrigo è chi fa del bene solo a se stesso a scapito degli altri. Si può infatti estrapolare da questi tre personaggi i tre tipi di persona che si fanno avanti in questo periodo; vi è infatti il volontario che, come detto, fa del bene perché gli sia riconosciuto e per farlo notare agli altri non appena questo periodo sarà finito; vi è poi chi fa del bene perché vuole fare del bene, e in questa cerchia racchiuderei sia chi fa del bene agli altri direttamente sia chi lo fa indirettamente, ma con coscienza, rimanendo a casa; vi è infine chi esce di casa non solo mettendo a repentaglio se stesso e la sua famiglia, ma anche violando la legge.
Vorrei dire, a tu per tu, al primo tipo di persona che il volontariato che sta facendo non serve a niente. Ciò che manca a chi lo fa perché gli sia riconosciuto è quello che solitamente si usa chiamare, con un inglesismo, customer care. Infatti, se un volontario di vocazione lo fa sempre col sorriso, chi lo fa perché gli sia riconosciuto purtroppo non avrà un sorriso che dura a lungo e arriverà a chiedersi prima o poi perché lo stia facendo.
Bisognerebbe poi chiedersi che rapporto ci sia tra i gesti che facciamo e il contesto in cui viviamo. Ad essere pessimisti dovremmo dire che solo chi nasce in un ambiente sano e sereno, socialmente e culturalmente, può preoccuparsi del suo prossimo. In una visione ottimistica invece potremmo pensare che proprio occuparsi degli altri possa aiutare chi si accosta al volontariato anche solo per mostrarsi migliore del contesto di provenienza, a diventare davvero una persona diversa. Sintetizzando potremmo dire che dipende da ciascuno di noi e dall’ottica con cui guardiamo al mondo il giudizio più o meno pessimistico/ottimistico con cui valutiamo i gesti di generosità compiuti dalle persone in momenti particolari come questo o anche in altri contesti.
Come a dire: la gente non cambia e chi è cattivo, lo rimane sempre, almeno un po’, nel profondo. O, in alternativa: una persona cattiva può diventare realmente migliore con azioni tali da eclissare e far dimenticare il male fatto in precedenza. Il volontario sta proprio nel centro di queste due visioni. Difatti egli è una persona, buona o cattiva, che ha fatto una scelta: quella di diventare migliore. Il “buono” per perfezionare il suo slancio verso il prossimo, il “cattivo” per dare una svolta alla sua vita, giunta vicinissima al punto di non ritorno. (Circa il virgolettato converrà con me il lettore che le considerazioni sin qui fatte lo impongono.)
D’altronde la soluzione finale è quella di mettere insieme il bene e il male. Il male aiuta il bene e viceversa. Non c’è l’uno senza l’altro e uno è termine di paragone per l’altro. O molto più semplicemente il cinismo corregge l’eccessiva ingenuità del “buono” ( il cosiddetto “fesso”), la generosità corregge la sterile diffidenza del “cattivo” mettendolo in contatto con persone che in determinati contesti (associazionismo, comunità) passano buona parte del loro tempo a cercare di rendere il mondo migliore. Oggi più che mai è il momento di dare il via a una svolta. Da parte dello Stato che deve fare la sua parte, come mi pare stia avvenendo, facendo quello che realmente politica vuol dire, ovvero ciò che serve alla polis (e con polis intendo la comunità). Come, non è un mistero, per questo esistono i telegiornali. Un esempio? Chiamare a raccolta tutti i medici disponibili. Magari commettendo degli errori. (Nell’esempio ammettendo tra i volontari anche i medici in pensione, nonostante si sappia da oltre un mese che i soggetti più a rischio siano gli anziani.
Anche i cittadini devono fare la loro parte, qualsiasi età abbiano. I giovani dal canto loro, non possono ritenere che uscire a spasso la sera con gli amici e prendere qualcosa al bar sia più importante della propria vita e di quella degli altri. Certamente tra i giovani c’è chi è un po’ più responsabile e sa bene che rimanere in casa non permetterà di stare bene alla singola persona bensì all’intera comunità, ma non tutti l’hanno ancora capito. Un esempio plausibile può essere quello di un giovane che esce per fare la spesa, tocca vari prodotti, paga, riceve il resto e porta la spesa a sua nonna, di salute cagionevole. Facciamo il caso che la nonna muoia. Il giovane di turno non ha altra scelta fuorché quella di sentirsi responsabile. Facciamo il caso, invece, che il giovane in questione non vada per tutto il periodo richiesto da sua nonna. Avrà la nonna triste, ma comunque in vita.
Ma quando questo periodo sarà finito, cosa potrà fare un qualsiasi giovane che abbia voglia di fare del volontariato? Fare volontariato è la risposta, sia che si viva in grandi città che in piccoli centri rivolgendosi ad associazioni laiche (come la Croce Rossa) o religiose (come la Caritas o gli Scout) le quali insegnano valori quali il rispetto della natura, la convivenza pacifica, il rispetto reciproco, delle regole morali e delle norme giuridiche, la collaborazione, il servizio, la dedizione agli altri, lo spirito di sacrificio. Il tutto alleggerito da un sano divertimento. Qualunque sia l’ambito prescelto e l’associazione di riferimento l’importante è essere disponibili e generosi nei confronti degli altri rendendo, come diceva il fondatore degli scout, Sir Robert Baden-Powell, il mondo migliore di come lo si è trovato.