dalla Redazione del TGTassoNews – Ai più il Giappone ricorderà il sakè non il vino. Eppure, da qualche anno a questa parte, alle pendici del monte Fuji, il “ribollir dei tini” si fa sentire eccome. Tutto merito del “koshu”, un vitigno ibrido a bacca rosa, diffuso nella Cina centrale, che ha trovato casa anche nella provincia nipponica di Yamanashi, lì dove (in condivisione con l’adiacente provincia di Shizuoka) dimora il monte sacro più noto del paese, il Fuji.
Il raro vitigno giapponese è antichissimo.
Le prime coltivazioni risalgono a oltre 1.000 anni fa e si pensa che siano il risultato di un incrocio tra la vitis vinifera e la vitis davidii, una vite selvatica asiatica.
Grazie a questa coltivazione, la zona di Yamanashi, ha floridi flussi turistici che vengono a vedere questi strani acini. Inoltre la coltivazione di quest’uva ha permesso uno sviluppo davvero interessante di un’economia basata sul vino che è totalmente estranea nell’arcipelago del Sol Levante.
Tradizionalmente, il Koshu viene allevato su pergole, anche se i vigneti più moderni sono tutti a spalliera. I vini del Koshu sono noti per la loro leggerezza, la mineralità e i sapori fruttati di pesca bianca e agrumi. Tradizionalmente, con questi acini, venivano prodotti soprattutto vini dolci, ma al giorno d’oggi si punta più su vini secchi, anche frizzanti, utilizzando sistemi come la fermentazione “sur lie”, che garantisce ai vini maggiore struttura ed intensità.
Per molti anni, il koshu è stato relegato a un ruolo marginale, oscurato dai grandi vitigni internazionali. È qui che entra in gioco la tenacia della famiglia Aruga, proprietari di una delle prime cantine vinicole a vinificare questa varietà. Consapevoli del potenziale inespresso di questo vitigno, hanno deciso di scommettere su di esso, dedicandosi completamente alla sua valorizzazione.
Nel 2002 Yuji Aruga, proprietario della cantina Katsunuma Winery, decise di partecipare a una competizione vinicola in Francia con un vino prodotto da questo vitigno. Il suo coraggio catturò l’attenzione di Bernard Magrez, proprietario di Château Pape Clément, a Bordeaux, che intuì il potenziale del koshu e propose ad Aruga di introdurlo in Europa
Nel 2010 è stato inserito nell’elenco delle varietà dell’Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino (OIV).