dalla Redazione del TGTassoNews – Nella prima metà del II secolo l’impero romano era esteso e potente. Il grande imperatore Adriano, nel corso di un viaggio di ispezione, fu colpito dalla natura aspra e indomita della Britannia. Compresi i rischi di una frontiera così esposta, decise di erigere una barriera formidabile, un muro che doveva “separare i Romani dai Barbari”, intendendo come barbari i popoli che non accettavano l’integrazione con la civiltà romana.
Fu così che tra il 122 e il 128 d.C., sotto la guida del governatore Aulo Platorio Nepote, prese avvio una delle più grandiose imprese ingegneristiche di sempre: la costruzione del Vallo di Adriano. Fu il confine più settentrionale dell’Impero Romano in Britannia, per gran parte del dominio romano su queste terre, anche se i Romani erano giunti fino al Mar Baltico, ed era in assoluto il confine più fortificato dell’impero
Le legioni romane, tenaci e disciplinate, lavorarono senza sosta per un decennio, dando vita a un muro maestoso, un baluardo contro le incursioni barbariche. L’opera cementizia, rivestita di pietre squadrate accuratamente selezionate, si snodava attraverso il paesaggio come un serpente di pietra, largo circa due metri e mezzo, alto fra i cinque e i sei metri. Il bastione era coronato da merlature imponenti, e un camminamento di ronda permetteva ai soldati di sorvegliare il confine.
La fortificazione era rafforzata da circa 320 torri di segnalazione, che sorgevano fieramente ogni miglio, quasi sempre appoggiate al bastione. Vi erano poi fortini quadrangolari, veri presidi di vigilanza, dove le sentinelle vegliavano incessantemente sul perimetro del forte.
A intervalli regolari, si ergevano i castra stativa o stationes, veri e propri forti di uno o due ettari, addossati al muro o leggermente arretrati, dove coorti e alae ausiliarie pattugliavano il confine.
Il Vallo di Adriano non era soltanto un’opera di difesa, ma un simbolo del potere e della capacità ingegneristica romana. Sul versante settentrionale, un fossato dalla tipica forma romana a V, largo nove metri e profondo quattro, offriva un’ulteriore protezione.
Il muro, nella sua maestosa solitudine, guardava verso le terre selvagge, testimone silenzioso di una civiltà che aveva osato sfidare i limiti del mondo.
In questo scenario, sorgeva fiero il forte di Vindolanda, parte integrante di quel sistema difensivo che segnava il confine tra il mondo romano e l’ignoto.