Classe 3 A Prof.ssa A.Daniela De Nicolo
Nell’ambito del laboratorio curricolo di cittadinanza abbiamo approfondito le tematiche inerenti la legalità.
Il principio di Legalità rappresenta oggi come non mai la massima garanzia di libertà, tale principio impone infatti a tutti il pieno rispetto della legge, che è il vero “strumento del popolo”, la cui fonte può stabilire o modificare, direttamente od indirettamente, i diritti fondamentali dei cittadini e le regole di convivenza e di comportamento.
Beccaria diceva “le leggi sono le condizioni, colle quali uomini indipendenti ed isolati si uniscono in società, stanchi di vivere in un continuo stato di guerra e di godere una libertà resa inutile dall’incertezza di conservarla”.
Il principio di Legalità è fortemente radicato nel nostro ordinamento giuridico: si afferma che tutti sono uguali di fronte alla legge.
La salvaguardia dal potere dispotico è data dalla divisione dei poteri, il rigore della legge, l’autonomia di chi è deputato a farla rispettare, il suo vincolo al quale anch’egli è subordinato. Dalla Magna Charta strappata dai baroni inglesi a Giovanni Senza Terra nel 1215 alla Rivoluzione Francese, passando per le riflessioni di Montesquieu e Rousseau, la storia si configura come un percorso verso la conquista della Legge, a cui tutti i titolari dei diversi poteri devono rispetto e verso il bilanciamento di questi poteri, l’autoregolazione, addirittura ancor prima e più della rivendicazione del suffragio universale.
L’affievolirsi, più volte e da più parti denunciato, del principio di legalità a livello internazionale – anche se, a sua volta, contrastato, ma non in toto, dalla crescita della democrazia, reclama la messa-a-fuoco di una ripresa/rilancio dell’idea stessa di legalità, di una sua riconferma e ridefinizione, sottolineandone – in particolare – il suo “statuto” di disagio, di bisogno collettivo e multidimensionale. Parliamo di bisogno proprio per evidenziare il suo connotato di cemento o di fattore-base di ogni convivenza sociale, di ogni organizzazione collettiva. Senza legalità non c’è società, non c’è stato, non c’è – perfino comunità, nel tempo, in particolare, delle società avanzate (tecnologicamente e democraticamente), nelle quali il principio aureo della/delle libertà non può trovare il proprio contrappeso o il proprio alter ego che nella legalità, nel vincolo della legge condivisa, in quanto prodotta dalla “volontà generale”. Un bisogno, si diceva, che è insieme politico, sociale e civile. Politico, perché la legalità è il contrassegno-chiave del patto sociale moderno, perché la legge è l’atto concreto della volontà generale e la materia stessa dello Stato.
Si tratta di rilanciare la Legge come motore del politico, dell’economico e del sociale ed è un rilancio sia teorico (che sbarri la strada a ogni legittimazione o giustificazione del non-legale) sia pratico-organizzativo (che dia corpo a politiche internazionali contro l’illegalità e i suoi poteri, muovendo da istituzioni ad hoc, dall’ONU alla NATO e oltre: fino alla DEA, fino al Tribunale per i diritti umani, etc.. e alle agenzie formative pubbliche e private). Ed è – questo – un primo bisogno decisivo, per restituire visibilità e incisività e pregnanza al principio-legalità. Ancora,è un bisogno sociale: è la stessa società civile che, a più riprese, se pure con molte ambiguità, rilancia questo bisogno, lo rende “palpabile”, lo pone come urgente. Si tratta – in realtà – di una serie di bisogni: di sicurezza, di non-sopraffazione di non co-abitazione (forzata) con le varie forme di criminalità. E qui il nemico sono le mafie (macro o micro che siano) che attraversano la società con effetti disastrosi di scollamento e di deriva rispetto alla legalità, ma anche la stessa corruzione che continua ad attraversare le società avanzate e, dall’ombra in cui agisce (spesso), le contamina con i suoi veleni, sottili ma mortali, di illegalità.Un bisogno, infine, civile: è il modello di convivenza civile che qui viene chiamato in causa; si vuole una convivenza non attraversata dalla paura e dal sospetto; si vuole uno stare – insieme del corpo sociale basato piuttosto sulla solidarietà e sul dialogo, sul rispetto e sulla “parità”; si guarda non certamente ad alcuna utopia, bensì al riconoscimento e al rispetto delle regole, alla Legge. Ma la legalità è oggi offesa nella realtà, “qui custodiet custodes” resta un problema inquietantemente e urgentemente aperto.
In questo quadro, poi, il caso-italiano è veramente un “caso”: esemplare e limite. Qui da noi mafie, corruzione, poteri forti spesso ab-soluti rispetto alla legge hanno creato un “groviglio” di illegalità, una legittimazione strisciante e perfino una quasi-tolleranza. La “questione meridionale” sembra in buona parte riassorbita nella “questione criminale”; l’espansione delle mafie è stata esponenziale, la loro militarizzazione altrettanto; la corruzione è stata capillare, istituzionalizzata, custodita e protetta, e ha invaso buona parte del corpo sociale; la microcriminalità opera senza tregua da Nord a Sud; poi ci sono le altre illegalità, che solo nel confronto con quelle criminali possono apparire “minori”, come quelle rispetto al fisco, rispetto alle funzioni-imparziali-del-pubblico-funzionario (dal poliziotto al magistrato), etc. l’Italia sembra proprio un paese senza tessuto civile globale e diffuso, ancora contrassegnato da una società civile e anche da uno stato di carattere pre-modemo (uno stato-“poliziotto”, uno stato-re, e non uno stato-garante). La politica stessa legittima l’illegalità in quanto, spesso, la pratica e la conferma ex professo mantenendo posizioni di privilegio – illegale su punti-chiave della vita democratica, come l’informazione (apertamente dai “golpe” tentati alle stragi, passando per la P2, etc.).. Tutto ciò produce una forma mentis che non si oppone, non resiste, non si ribella, piuttosto tollera e legittima. C’è poi l’effetto di quasi-tolleranza che rischia di far saltare il tessuto sociale del paese: tolleranza per omertà, per consenso estorto, per interesse, per continuità varie, ma anche per indifferenza, per rassegnazione, per “noia”. è l’effetto più disastroso che provoca un mutamento genetico nella convivenza sociale, dando corpo a “due società” e a “due Italie”, in un clima di “guerra civile”. Per fortuna c’è anche la parte attiva, sana, motivata, illuminata, eticamente decisa e orientata che deve operare una svolta e un risveglio, puntando sull'”ottimismo, sulla volontà, ma anche sull’adeguatezza delle strategie. Essa intende ricostruire un’idea diffusa di società e di stato. Qui il lavoro è culturale, etico-politico soprattutto e va messo in atto attraverso molte agenzie: dalla scuola alla chiesa, all’associazionismo, all’informazione.. L’impegno deve essere più forte e più capillare, deve in prima linea coinvolgere la scuola, come luogo di tutti e per tutti, valorizzare la sua funzione di formazione alla cittadinanza posta come suo dovere primario, e a una cittadinanza legale e democratica e guidarla nell’organizzazione di queste attività e nelle stesse finalità che stanno oltre la trasmissione dei saperi a cui la scuola si è sempre più nettamente delegata.
Anche le mentalità, anche le culture vanno cambiate, “a cominciare dal bambino”, sostenendolo poi nella sua crescita con una rete di iniziative e di agenzie civili, ma affiancate dallo stato. Creare una cultura della legalità è il primo obiettivo della scuola, sia lavorando nel curricolo e per vie extra-curricolari. Dando vita a un “universo di valori” che nel binomio libertà/legalità trovano il proprio volano (democrazia, dialogo, partecipazione, solidarietà, etc.). E qui sono proprio l’insegnamento storico, quello linguistico, quello filosofico (nella scuola superiore) a fungere da promotori e/o coordinatori. Certo è che dalla scuola di base, attraverso lo studio dell’ambiente sociale, attraverso la descrizione del vissuto sociale, passando poi a una riflessione su “diritti e doveri” del cittadino e/o dell’uomo, tale processo deve prendere l’avvio. Le vie extra-curricolari saranno invece quelle del raccordo con la società civile, con le sue agenzie formative e le sue istituzioni, per costituire un complesso di iniziative (dalle mostre al teatro) per creare occasioni per riflettere (e, quindi, interiorizzare) sul principio-legalità. La scuola poi, al proprio interno deve rispettare sempre la legalità, poiché è l’esempio che meglio e di più educa, è l’habitat con i suoi valori vissuti che forma. E tale rispetto emerge da una organizzata e realizzata “vita democratica”, anche nel gruppo classe. Inoltre, la scuola deve valorizzare-culturalmente, eticamente, esistenzialmente – lo spirito di resistenza, il valore dell’eresia e dell’utopia, la visione divergente del soggetto: il dispositivo di una coscienza critica è un punto archimedeo da e su cui far leva verso la legalità, anche nelle condizioni più compromesse. Se manca, invece, poco o niente è possibile. Pertanto alla scuola spetta un quadrilatero di compiti: 1) attivare una cultura della legalità; 2) comunicare un universo di valori, una Weltanschauung elaborata politicamente, sulla legalità; 3) coordinarsi con altre agenzie per operare con esse ;4) istituzionalizzare le pratiche-di-legalità al proprio interno.
Le soluzioni proposte sono molteplici e provengono da tutta la rete della scuola e dell’associazionismo, spesso onlus, ma un esempio di grande lungimiranza e elasticità è dato dalla Regione Toscana e dall’istituzione del Centro di documentazione Cultura della Legalità Democratica, nato nell’ottobre 1994, che attualmente opera in attuazione della L.R. n. 11 del 10/3/99: “Provvedimenti a favore delle scuole, delle università toscane e della società civile per contribuire, mediante l’educazione alla legalità e lo sviluppo della coscienza civile democratica, alla lotta contro la criminalità organizzata e diffusa e contro i diversi poteri occulti”. Il Centro mira alla raccolta e la diffusione delle informazioni a carattere bibliografico, documentario e statistico, alla realizzazione di indagini e ricerche effettuate da Università, da Distretti scolastici, anche in collaborazione con gli Istituti scolastici, nonché da Associazioni costituite ai sensi di legge il cui statuto preveda attività di studio e ricerca nel settore oggetto della presente legge, alla valorizzazione delle ricerche effettuate da laureandi attraverso le tesi di laurea o da giovani neolaureati attraverso progetti di particolare interesse, comunque ad azioni tese a rendere sicura e solidale la vita nelle città puntando sulla collaborazione delle agenzie preposte alla trasmissione del sapere attraverso mostre, prodotti editoriali. A titolo di esempio, riportiamo la collaborazione con Libera nomi e numeri contro le mafie, l’associazione presieduta da Don Luigi Ciotti con cui è stata firmata una convenzione che ha portato, tra l’altro, alla creazione di una banca dati di scuole e associazioni che si occupano di legalità democratica e che hanno attuato, nel corso di questi anni, un gran numero di progetti in tal senso. La banca dati oggi è ricca di oltre 500 nominativi e indirizzi di scuole, associazioni ecc. ed è diventata un punto di riferimento nazionale. E’, anche questo un modo per fare “rete”, per coordinare le azioni e renderle più incisive, per supportarsi l’un l’altro e nei confronti delle istituzioni centrali, contro la corruzione, per il riuso a fini sociali dei beni sequestrati ai mafiosi ecc. ecc. E’ un altro modo per affermare la cultura della legalità.
L’educazione alla legalità, alla democrazia, alla non violenza, la volontà di impegnarsi sui temi della lotta alla criminalità organizzata sono esigenze molto avvertite anche nel Comune di Lamezia Terme.
L’evidenza di operare in un’area che registra su questi temi delle vere e proprie emergenze sociali, sollecita la sperimentazione di forme di presenza sul territorio Così nasce il progetto David come risposta verso un avversario apparentemente invincibile: l’illegalità. Con esso l’Amministrazione Comunale intende dotare la città di uno spazio finalizzato al recupero dei valori della convivenza civile, al rafforzamento della partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica, al confronto fra le forze del volontariato, del privato sociale, della scuola. Anche questo progetto opera in rete e conta sulle sinergie provenienti da esperienze già presenti sul territorio quali le associazioni LIBERA e AVVISO PUBBLICO.
Allo stesso modo, la Legalità è perseguita anche individualmente dal sostituto procuratore della repubblica Francesco Oliva, il quale ha pensato di realizzare, in modo artigianale, un sito orientato all'”educazione alla legalità” per condividere con chiunque, addetto ai lavori giuridici e non, abbia interesse all’educazione dei giovani alla legalità. L’avvenire si presenta con visioni cupe e pessimistiche, caratterizzate da due filoni principali e quasi sempre coincidenti: l’eccesso di tecnologia, vista come spersonalizzante, nemica dell’anima, strumento di dominio per classi o gruppi oligarchici; e la vita sociale, contraddistinta dalla lotta per la sopravvivenza, homo homini lupus, oppure da una ferrea organizzazione tirannica.
La domanda che affligge gli uomini di questa delicata epoca di trapasso è se anche in un futuro dominato dall’organizzazione e dalla tecnologia sia possibile una forma di legalità, che non sia soltanto la legge del più forte e del dominatore di turno, ma abbia la sua radice nell’etica. La consapevolezza dei mali enormi che il mondo ha attraversato nel Novecento, dalle delusioni dei grandi ideali le cui applicazioni pratiche si sono rivoltate contro quella stessa umanità che volevano servire, e infine da una delusione recentissima, della quale bisognerà cominciare ad avere coscienza: la scoperta della sostanziale crisi della democrazia liberale, al di là della sopravvivenza dei riti elettorali, e nella tendenza diffusa alla democrazia populista. La volontà generale di Rousseau contro la libertà dell’individuo, contro l’eguaglianza di fronte alla legge e la fraternità nell’ordine sociale. Una scoperta che non si rifà alle vecchie teorie di Marx ma alle brucianti esperienze di questo inizio di secolo, sia sul piano degli sviluppi della situazione internazionale dopo l’11 settembre 2001, sia sul piano della legalità nel nostro Paese, dove la conduzione della cosa pubblica come fatto privato di Berlusconi non è più consolante. Noi viviamo in un mondo che riconosciamo come caratterizzato da tecnica e razionalità. Il fatto è che noi sperimentiamo quotidianamente che questa razionalità forte è inesistente, è solo una tensione, un muoversi verso un’idealità che non si confronta con il reale, col concreto, col quotidiano. Se ci muoviamo in quella direzione, se la cultura non è attenta a mettere in discussione questo stile tecnico e razionale noi produciamo una forte caduta, una forte diminuzione dell’attenzione alla soggettività dell’individuo.
L’ educazione dovrebbe aiutare a trovare la particolarità a valorizzare la soggettività, a potenziare le persone nella ricerca di strumenti speciali, personali, specifici e creativi per affrontare, leggere e risolvere i problemi, a costruire e progettare ipotesi operative all’interno di percorsi di formazione partendo dai nodi di debolezza, dagli elementi di fragilità. Ciò che rischia di essere un problema nei progetti comuni può provare ad essere invece la caratteristica nodale del nostro tentare di progettare insieme. La democrazia. “What is democracy? It changes forever the moment we touch it. Ask it to serve and it begins to fade, take up its burdens and it is refreshed. Democracy is like jazz, always new, always changing, the negotiation of a million different interests “.