//Il peso della società e la memoria di una familiarità’: le riflessioni di una nostra ex redattrice

Il peso della società e la memoria di una familiarità’: le riflessioni di una nostra ex redattrice

di | 2023-03-08T18:31:50+01:00 8-3-2023 17:58|Alboscuole|0 Commenti
La recente Mostra sulla storia de “Il Gallo Strillone” è stata l’occasione per un ritorno a scuola di una neodiplomata, ex 5^ C, (ora matricola ad Economia Aziendale), Rosa Galluccio, per un triennio redattrice tra le più attive del nostro giornale studentesco nell’ultimo triennio. L’emozione di un luogo e di volti familiari e la notizia drammatica di una ragazza universitaria hanno suscitato in lei il desiderio di scrivere un articolo sulla diversità di esperienze vissute in queste due realtà (scolastica ed universitaria).
Ben volentieri lo pubblichiamo. LA REDAZIONE

Diana Biondi si è lanciata nel vuoto, lasciando dietro di sé la sua borsetta nera e un dolore immenso. A spingerla a prendere questa decisione la paura di deludere le aspettative, dopo aver mentito sul suo percorso di laurea. Ennesima vittima di una società che fa sentire dei falliti chi non raggiunge i traguardi universitari. Non è la prima volta che accade e l’iter è spesso lo stesso: la giovane aveva già annunciato la data di laurea ai genitori, mentre in realtà, a separarla da quel traguardo, vi era ancora un esame. E proprio il giorno prima di quello che doveva essere l’annunciato giorno della proclamazione, la decisione più terribile: non fare più ritorno a casa. Deludere le aspettative altissime della società e di chi ci ama o spesso quelle che noi pensiamo che loro abbiano. A schiacciarci è un modello che non perdona e non accetta il fallimento. Mai. Negli ultimi anni poi il mercato del lavoro e l’ingresso al suo interno sono scanditi da performance sempre più alte, a volte impossibili da raggiungere, che provocano un senso di inadeguatezza costante. I colleghi di Diana, studenti all’Università Federico Il di Napoli, hanno espresso tutta la loro tristezza così: “Non ce la facciamo più a sopportare il peso di leggere di persone, nostri coetanei e non, che hanno scelto di togliersi la vita perché sopraffatti dalla pressione sociale universitaria. Basta, sta diventando straziante. Quanti altri ragazzi dovremo salutare prematuramente, prima che qualcosa cambi per davvero? Quanta altra retorica dovremo leggere, prima ancora che qualcuno cominci a fare qualcosa sul serio? Basta. Parliamoci, guardiamoci, aiutiamoci”. Il disagio psicologico non riguarda più solo i singoli ma tutti noi ed è una problematica diffusa di cui è assolutamente necessario prendersi cura. Ora. Per evitare che tragedie come questa succedano un’altra volta.
Da qualche mese ci sono anch’io in questo mondo. Tornando alle superiori in onore della Mostra del “Gallo Strillone” che si è tenuta nella Settimana dello studente sono riaffiorati alla mente i miei favolosi cinque anni. Pensavo che non l’avrei mai detto ma mi mancano le superiori: avere una routine, essere più spensierata, vedere i miei amici tutti i giorni, essere in un ambiente più familiare, essere guidata ed avere un percorso sicuro. Manca quella seconda famiglia che abbiamo costruito in cinque anni. Durante i quali ho avuto la fortuna di conoscere professori che vanno oltre il rapporto docente/studente, che si interessano realmente ai nostri sentimenti, che hanno voglia di scoprire cosa abbiamo dentro. Quelli delle superiori sono stati anni che porterò sempre nel cuore. Sono stata fortunata ad aver avuto professori e compagni con cui ho costruito un rapporto che sono sicura non si scioglierà mai completamente.
Da quando sono entrata nel mondo universitario mi vengono poste sempre le consuete domande: “Quanti esami hai dato? Quando finisci gli esami? Quando cominci a lavorare?”. Domande lecite se accompagnate da parole di comprensione, incoraggiamento, fiducia, pazienza. Perché sentirsi sbagliati, in ritardo o incapaci di soddisfare le aspettative altrui può essere un peso insopportabile. Perché l’università è una gara che ammette solo il gradino più alto del podio. Ci narrano che serve per il nostro futuro e che ti prepara al mondo e che più risultati buoni ottieni più avrai successo. Perché quando entri dentro cessiamo di essere persone e diventiamo numeri. Fine. Quello che non ci raccontano è che in questa gara lasciamo dietro pezzi della nostra salute mentale e fisica. Che questa performance a cui siamo forzati ci obbliga costantemente a confrontarci con le storie e narrazioni sensazionalistiche di chi letteralmente discute la tesi con le doglie, o prende tutti 30 e lode, ponendo la barra del successo in alto. Irraggiungibile. Ci dicono che se vogliamo possiamo, e che dobbiamo volerlo per forza e che qualora sentissimo il peso sul nostro corpo, dobbiamo ignorare e continuare per rimanere nel tempo che ci hanno imposto. Non ci raccontano che vedremo gente scoppiare a piangere durante le sessioni d’esami, che va in privazione di sonno, che ha paura di aver deluso famiglia e amici, che va contro il proprio benessere per far parte di quella narrazione che leggi ovunque. Non ci parlano di come gestire i blocchi, di come ascoltare i nostri corpi e di come chiedere aiuto. Di come parlare del proprio malessere e del proprio dolore, perché non c’è spazio in un sistema che fagocita le persone. Ed è proprio questo il lato oscuro della società moderna: l’alienazione da noi stessi e la dannosa identificazione con i risultati da noi raggiunti. Essere persone prima che obiettivi è ciò che una società sana dovrebbe favorire. E in questo stiamo fallendo miseramente.

ROSA GALLUCCIO