Redatto da: Melotti Camilla, Pietroboni Daria
Questo termine dialettale si presta a diverse interpretazioni, a seconda della zona nella quale ci troviamo.
La tradizionale distribuzione del “Gabinàt” di Monno (BS) è un evento raro e unico nella montagna lombarda sia per la qualità del dono che per la sua insolita collocazione calendariale.
Esso consiste nella antica riproposizione di una elargizione, effettuata a titolo personale o comunitario del “Gabinàt” (parola derivata dall’alto germanico col significato di “notte dei doni”).
A titolo personale l’omaggio vedeva la presenza di un adulto donatore e di un ragazzo ricevente uniti da vincoli parentali o essendo l’uno il padrino o la madrina del giovane beneficiario.
A titolo comunitario la ritualità invece si manifestava nell’attuarsi di un dono effettuato dalla parrocchia all’intera comunità dei giovanissimi.
La ricorrenza ancora oggi cade al 1 Novembre di ogni anno, al termine della messa pomeridiana celebrata al cimitero per la solennità di Ognissanti.
L’organizzazione attualmente è nelle mani non più della parrocchia (al parroco è attribuito il compito di benedire l’oggetto del dono) ma del comune.
Il “Gabinàt” consiste, oggi come un tempo, in castagne lessate denominate in dialetto monnese “tèteghe” e in pane di segale (con mistura di farina di frumento) prodotto da un panificio artigianale dell’Alta Valle Camonica. Il pane assume le due forme distinte denominate “bèch e canàoi” termini che tradotti dal dialetto monnese indicano il primo una struttura a testa cornuta ed il secondo una forma simile al collare delle capre.
Il “bèch de séghel” viene consegnato nelle mani dei bambini mentre il “canàol” è portato in dono alle bambine. Queste forme simboleggiano elementi antichi, precristiani, legati alla fertilità. E’ da sottolineare a tal riguardo la coincidenza del 1 Novembre con la data del Capodanno Celtico.
Con tutta probabilità però questo rituale affonda le sue origini nel mondo del monachesimo legato alla presenza a Monno della chiesa di san Brizio con i limitrofi possedimenti un tempo destinati alla Castanicoltura dei quali rimane il ricordo negli ultimi esemplari di “érbor” centenari, superstiti. La tradizione appena descritta, ancora in uso, prevedeva un rituale successivo attualmente non praticato: il 2 Novembre, infatti, le madri di famiglia si recavano dal parroco del paese donando un sacchetto di farina di segale per famiglia. Il sacerdote ricambiava dando gratuitamente ad ognuna una fettuccia di seta azzurra, rossa o nera da impiegare per chiudere il corpetto dell’abito tradizionale festivo femminile o rifinire le bordature del costume maschile.
Per antica tradizione chi si appresta a ricevere il dono deve richiederlo pronunciando ad alta voce: “Gabinàt, gabinàt!” e chi lo elargisce risponderà ad ogni bambino con la classica frase di chiusura: “tira la cùa al gàt!”. Queste pratiche declamate imposte nei modi di dire sono l’espressione di antiche forme espressive che se contemplate alla lettera preannunciavano e facilitavano la venuta di una buona stagione agraria e di una serena crescita umana.
La rituale consegna del “Gabinàt” coinvolge, attualmente, non solo i ragazzi residenti ma anche i bambini provenienti da fuori paese: figli di emigranti, villeggianti e amanti delle più caratteristiche usanze camune.