Il Matese, di cui Piedimonte vanta di esserne la porta di accesso del versante casertano, è terra di pascoli e di transumanza per cui le carni ovine, bovine e suine, che devono la loro genuinità agli incontaminati pascoli delle pendici matesine, come tutti i derivati del latte, recitano un ruolo da protagonisti.
Oltre alle consuete cotture alla brace e allo spiedo, le carni possono essere gustate in altre preparazioni, come: l’agnello o il capretto alla pecoraia, cotto con acqua, sale, cipolla e naturalmente peperoncino per essere poi servito su fette di pane abbrustolito; lo spezzatino di capretto alla cacciatora; l’agnello cace e ova del Matese; infine la pezzata, carne di agnello cotta secondo le antiche ricette della antica transumanza, cioè fatta bollire per ore in grosse caldaie con gli odori reperibili nei luoghi del bivacco.
A Piedimonte Matese la gastronomia locale, oltre a quella tipica del Matese in generale, offre una notevole varietà di piatti locali tipici: le laine con i fagioli o con i ceci; i cavatelli; la zuppa di sedano con baccalà; la minestra m’maritata (pezzi vari di suino farciti con verdure del territorio); i cardilli con i fagioli, i casatelli di pasta fatta in casa ripieni prosciutto, uova, formaggi e cotti nel forno a legna; i caniscioni, sempre di pasta fatta in casa, ripieni di verdure del territorio e cotti nel forno a legna.
Negli ultimi anni molti produttori locali hanno deciso di investire nella produzione di salumi di maiali di razza casertana. Razza quasi scomparsa dal territorio e dimenticata, ma con carni dal sapore unico. Il recupero e l’allevamento di questa razza ha portato alla nascita di una nuova linea di prodotti. Il fiore all’occhiello è il Culatello del Matese, nato con l’aspirazione di creare, sul territorio, un prodotto dal sapore eccezionale, adatto ai palati di tutti. Il Culatello del Matese viene ottenuto da maiali dal peso di almeno due quintali, il cui grasso sottocutaneo conferisce alle carni proprietà organolettiche apprezzatissime, soprattutto dagli intenditori. Si tratta di un prodotto unico, stagionato in cotica e non in vescica, dalla salatura e dall’aromatizzazione con una miscela di erbe del territorio. Molto sviluppata è la produzione di salsicce e soppressate con metodi di lavorazione tradizionali, anche leggermente affumicate.
Una menzione a parte merita il prosciutto di Pietraroja (versante beneventano del Matese) che, grazie all’aria fresca del paese,situato ad oltre 800 metri slm, è rinomato per la sua essiccazione naturale, che avviene solitamente all’interno di vecchie cantine nelle quali sia i paesani che gli abitanti dei paesi limitrofi portano i loro cosci da stagionare. Le prime notizie della tradizionale produzione dei rinomati prosciutti di Pietraroja risalgono al ‘700 quando il Duca di Laurenzana di Piedimonte non faceva mai mancare nella sua mensa una buona quantità di questo prodotto.
Alife ha le sue eccellenze gastronomiche riconosciute dal Ministero dello Sviluppo Economico, come la Cipolla Alifana e il Fagiolo Alifano, come il Cera.
Il fagiolo di Alife viene chiamato anche fagiolo cerato o di cera. Il nome è dovuto al colore particolarmente lucido dello strato più esterno che protegge il cuore del seme. Una volta che esso è giunto a piena maturazione, infatti, sembra quasi avvolto in una sottile pellicola di cera. Questo fagiolo è una delle specialità dei prodotti tradizionali della Regione Campania e fa parte anche dell’Arca del Gusto di Slow Food, per tutelarne la storia e rafforzare l’esempio delle famiglie che ne custodiscono ancora i semi. Merito della sua presenza sul mercato è soprattutto di quei gruppi familiari che con caparbietà portano avanti una coltivazione, come un ideale da difendere o un incarico ricevuto in modo non scritto dalle generazioni precedenti dei padri e dei nonni. Questo fagiolo ha rapidamente trovato il suo ambiente ideale nei terreni argillosi in cui viene coltivato e da cui assorbe la linfa necessaria a farlo crescere e germogliare, per arrivare a piena maturazione nel mese di agosto. Il sole caldo dell’estate è ciò che serve a questo punto per essiccare i baccelli, dopo aver sradicato le piantine che restano all’aria aperta fino a settembre, quando è tempo di liberare i semi, pulirli e conservarli. Non senza, prima della raccolta, aver recuperato i baccelli verdi, che di solito vengono preparati in zuppe o insalate. Operazione fondamentale per fare in modo che poi crescano i baccelli destinati alla raccolta finale. In tavola quindi si può gustare sia il baccello verde che il seme essiccato. In quest’ultimo caso viene accompagnato ad una pasta detta “quagliatella”, oppure in zuppe che sono state per lungo tempo alla base della dieta contadina: quella con fagioli e cipolla, insaporita da olio extravergine di oliva e quella tipica della vigilia di Natale, con fagioli e castagne. Il fagiolo, come tutte le altre leguminose della sua famiglia, svolge un ruolo molto importante nell’ecosistema agricolo, specialmente in quello che si gestisce in modo naturale, senza l’impiego di sostanze chimiche estranee alla terra. Infatti questa pianta ha la capacità di attrarre l’azoto presente nell’atmosfera contribuendo, così, a potenziare la fecondità della terra. In un modo che rispetta l’ambiente e anche i consumatori.
La cipolla di Alife assume denominazione dall’omonimo comune, sito nell’Alto Casertano. Secondo la leggenda la sua coltivazione risale al periodo della dominazione Romana. Si racconta che i gladiatori fossero soliti strofinarsi il copro con le cipolle per rassodare i muscoli, successivamente la cipolla venne utilizzata come moneta per pagare gli affitti e spesso anche come dono. La storia della cipolla è poi proseguita nei secoli fino ad arrivare ai giorni nostri. Negli ultimi anni, però, solo alcune piccole aziende a conduzione familiare la coltivano. Questa presenta caratteristiche organolettiche apprezzate soprattutto nei mercati dell’agricoltura tradizionale grazie al suo bulbo poco schiacciato, alla buccia di colore rosso ramato vivace e al suo intenso e dolce sapore non acre. La riproduzione avviene per bulbilli, seminati tra agosto e settembre che, trapiantati a marzo, possono essere raccolti tra luglio e agosto dell’anno successivo.
Nel Comune di Valle Agricola e nella fascia pedemontana del Massiccio del Matese si produce in piccole quantità una lenticchia molto pregiata, detta lenticchia di Valle Agricola. È un ecotipo locale di medie dimensioni e di colore piuttosto scuro. La buccia sottile favorisce la cottura e ne esalta il sapore intenso, caratteristico e pregiato. Le regole di coltivazione rispecchiano la tradizione colturale dell’area; infatti i campi non sono molto estesi, continuano ad essere familiari e la lenticchia viene utilizzata soprattutto per il mercato locale, conservata in sacchetti di tela grezza a trama grossolana e sfruttata soprattutto essiccata per la preparazione di piatti della cucina tradizionale locale.
Nei comuni di San Gregorio Matese, Gallo Matese e Letino si coltiva un ecotipo locale di fagiolo dal baccello di colore ocra e dimensioni piccole; i legumi sono di colore bianco, piccoli con cicatrice ilare mediamente evidente, di forma depressa, reniforme non accentuata, buccia sottile, sapore delicato, elevata digeribilità la pianta a portamento rampicante, ad accrescimento indeterminato, alta un metro, tradizionalmente tutorata al mais rosso locale, fiore di colore bianco.
Il bosco e la campagna del territorio offrono prodotti tutto l’anno, come i famosissimi funghi porcini (Boletus Edulis e fam.) del Matese, ma anche pioppini (Cyclocybe aegerita), chiodini (Armillaria mellea), trombette di morto (Craterellus cornucopioides) e orecchioni (Pleurotus ostreatus).
È possibile raccogliere e cucinare alcune tra le più interessanti piante spontanee alimentari, ricche di sapore e di benefiche proprietà. Le piante che vi si propongono sono molto diffuse, facili da riconoscere e da usare, perfette per comporre piatti eleganti, profumati e colorati: l’origano, la santoreggia, gli asparagi, i germogli di luppolo e di vitalba (Clematis Vitalba).
Parlando di vini è d’obbligo citare prima di ogni altro il Pallagrello (o Pallarello). È il nome tradizionalmente attribuito ad un vitigno autoctono dei monti del Matese. Nel dialetto locale, pallarello significa infatti “rotondetto”, in riferimento agli acini del grappolo, che hanno forma piccola e tonda. È uno dei pochi casi di vitigno a bacca bianca e rossa. È un vino storico, valorizzato da Ferdinando IV di Borbone per la bellezza della vigna, che decise di valorizzarlo ordinando ai sui giardinieri la creazione della Vigna del Ventaglio. Nei dieci raggi, altrettante diverse qualità di uve, tutte del Regno delle Due Sicilie, ma solo due campane: il Pallagrello bianco e nero, varietà all’epoca denominate Piedimonte bianco e rosso dal luogo di provenienza. I Borbone lo offrivano come regalo di pregio ai propri ospiti e lo includevano, con il nome di “Piedimonte rosso” (vista la provenienza dall’omonima zona del Matese), tra i vini presenti nei menu e nelle carte dei vini per le grandi occasioni, accanto ai più titolati vini francesi. Si ricorda ad Alife anche il vino della località San Michele, citato nell’enciclopedia dei vini del Veronelli.
L’olivicoltura di qualità sta crescendo molto nel territorio matesino, grazie all’impegno profuso di associazioni, professionisti, enti, imprenditori, e non per ultimi di olivicoltori che stanno acquisendo la grande consapevolezza che con l’impegno l’olio buono si può fare. Fra i migliori oli extravergine del mondo c’è anche il Matese con l’azienda Antico Podere Matesino, situata nella frazione Totari del comune di Alife, nata da pochi anni è fra le migliori realtà territoriali. Sono già numerosi i privati e le cooperative del Matese che producono oli extravergine di oliva nel pieno rispetto delle tradizioni. Viene, ad esempio praticata la coltura monovarietale autoctona, come il Koinè; la spremitura viene fatta esclusivamente mediante procedimenti meccanici a ciclo continuo e consente di mantenere nell’olio tutte quelle qualità nutrizionali che si trovano nel frutto degli ulivi. Mediante questa lavorazione si possono ottenere oli di oliva extra vergine di altissima qualità, dal sapore unico, con bassissima acidità e dalle indiscutibili proprietà nutritive. Sono oli ottimi sia per condire a crudo (da provare su bruschette e insalate) che per condire pietanze calde, apportando ad ogni piatto tutta la loro decisa fragranza.
Quando si dice che quanto esposto “è finito tutto a tarallucci e vino”… vale a dire che “tutto è finito nel migliore dei modi”, è significativo che proprio il tarallo sia il protagonista di un detto così amichevole! Simbolo di unione, di benevolenza e di allegria, associato da sempre a momenti piacevoli. Fino agli anni Settanta vi era l’usanza, quando si festeggiavano i matrimoni nelle grandi aie di campagna, di offrire accanto ai confetti e alle pastette, una gran quantità di taralli, anche nelle varianti con le uova o con il “naspro”. Un prodotto tanto semplice quanto gustoso, che nei suoi ingredienti raccoglie alcuni tra i frutti caratteristici della terra matesina: olive e grano.
In tutti i comuni del Matese si conserva un’importante tradizione nella produzione di prodotti da forno, che trae origini dalla storia, dalla cultura e soprattutto dalla ricchezza degli ingredienti disponibili. Alla produzione del tarallo classico si è affiancata quella di altre specialità: taralli dolci, biscotti (tra cui spiccano quelli di San Gregorio Matese e di Valle Agricola), freselle e dolci. Tutte prelibatezze che raccontano la storia gastronomica matesina.