Giulia Sessa – 2D
I rapporti tra Dante e la chiesa del suo tempo non furono mai tanto idilliaci; tuttavia questo non ha impedito alla chiesa di riconoscere la grandezza e la profondità teologica del Poeta fiorentino.
Dalla lettura di alcuni documenti che gli ultimi pontefici hanno scritto in occasione dei precedenti centenari della morte e della nascita del Poeta si evince limpidamente il filo conduttore che lega l’interesse per Dante alla Santa Sede, e quindi alla Chiesa. Il papato di Leone XIII, all’interno di un contesto storico, politico e culturale molto particolare, ha dato l’avvio al dantismo papale contemporaneo. Il dantismo di Leone XIII da una parte coincide con la fine del potere temporale dei Papi, dall’altra si “traduce” nella dottrina sociale della Chiesa, espressa a chiare lettere nella “Rerum novarum”. Col suo progetto politico, culturale e pastorale, Leone XIII dimostra che la dottrina politica dantesca è un formidabile strumento di rinnovamento della chiesa nel suo incontro con la modernità. Non manca in seguito la voce del dantismo di Pio X, il primo dei Papi santi del XX secolo, che ci permette di risalire ed arrivare alla sorgente della sua prospettiva riformatrice, costruita sul motto “Instaurare omnia in Christo”. Il documento che meglio esprime la ricezione di Dante durante il papato di Pio X viene pubblicato dopo la sua morte ed esprime un umanesimo cristiano che, in quanto tale, si allontana dalle alte ed aristocratiche sfere della filologia in nome di una “teologia popolare” quale può essere considerato “il libretto del Catechismo”.
Nel 1921, in occasione del VI centenario della morte del Poeta, Benedetto XV, raccogliendo gli spunti emersi nei precedenti Pontificati, particolarmente quello di Leone XIII e di San Pio X, commemora l’anniversario dantesco sia con una lettera enciclica “In Preclara Summorum”, sia con il restauro del tempio dove è la tomba di Dante a Ravenna. In questa enciclica, il Papa rivendica l’appartenenza del poeta fiorentino alla Chiesa, tanto da definirlo “nostro Dante”, poiché la sua opera trae “poderoso slancio d’ispirazione” dalla fede cristiana.
Nel 1965, per la ricorrenza del VII Centenario della nascita di Dante, Paolo VI, con la Lettera Apostolica “Altissimi cantus”, evidenzia il profondo interesse della Chiesa per la figura di Dante. Il Papa sottolinea quanto la “Commedia” sia “universale”, perché “abbraccia cielo e terra, eternità e tempo” ed ha un fine “trasformante”, ovvero “in grado di cambiare radicalmente l’uomo e di portarlo dal peccato alla santità”. Papa Montini rileva anche “l’ideale della pace” espresso nell’opera dantesca, insieme alla “conquista della libertà” che, affrancando l’uomo dal male, lo conduce verso Dio.
Vent’anni dopo, nel 1985, San Giovanni Paolo II richiama un altro termine-chiave della “Divina Commedia”: il verbo “transumanare” che permette all’uomo e al divino di non annullarsi a vicenda.
La prima Enciclica di Benedetto XVI, poi, la “Deus caritas est”, nel 2005, mette in luce l’originalità del poema di Dante, cioè “la novità di un amore che ha spinto Dio ad assumere un volto ed un cuore umano”.
Oggi, a 700 anni dalla morte di Dante, avvenuta nel 1321, nella Lettera apostolica “Candor lucis aeternae”, Papa Francesco ricorda il VII centenario della morte di Dante Alighieri, sottolineando l’attualità, la perennità e la profondità di fede della “Divina Commedia”. Il cammino indicato da Dante – spiega Papa Francesco – è “realistico e possibile” per tutti, perché “la misericordia di Dio offre sempre la possibilità di cambiare e di convertirsi”. In questo senso, l’Alighieri è “poeta della misericordia di Dio” ed è anche cantore “della libertà umana”, della quale si fa “paladino”, perché essa rappresenta “la condizione fondamentale delle scelte di vita e della stessa fede”. La libertà di chi crede in Dio quale Padre misericordioso, aggiunge, è “il maggior dono” che il Signore fa all’uomo perché “possa raggiungere la meta ultima”. La Lettera apostolica dà, inoltre, la rilevanza a tre figure femminili tratteggiate nella “Divina Commedia”: Maria, Madre di Dio, emblema della carità; Beatrice, simbolo della speranza, e Santa Lucia, immagine della fede. Queste tre donne, che richiamano le tre virtù teologali, accompagnano Dante in diverse fasi del suo peregrinare, a dimostrazione del fatto che “non ci si salva da soli”, ma che è necessario l’aiuto di chi “può sostenerci e guidarci con saggezza e prudenza”.