STORIE DI PRIGIONI, PRIGIONIERI E ALTRE PRIGIONIE
Siamo al tempo del Regno d’Italia, in pieno Risorgimento e Silvio Pellico è redattore e direttore della rivista “Il Conciliatore”, fa anche parte della setta segreta dei “Confederati”, i cui adepti furono tutti scoperti dalla polizia austriaca. Il 13 ottobre 1820 fu arrestato e condotto in prigione a Venezia e condannato alla pena di morte, poi commutata in 15 anni da scontare nella fortezza di Spielberg in Austria.
Il regime carcerario era durissimo, se eri fortunato avevi una catena alle caviglie che ti costringeva a muoverti a passetti; potevi tirarla un po’ su perché avevi una cintura in cuoio da cui penzolavano ai lati le due catene, ma questo non impediva che i piedi si escoriassero a sangue né che di notte si riuscisse a trovare una posizione accettabile per dormire sugli scomodi e lerci tavolacci che fungevano da letti. Gli assassini ed i ladri sopportavano catene fissate al muro che li bloccavano dalla vita, praticamente non potevano fare nemmeno un passo tanto erano corte.
Le infezioni portavano febbre e talvolta si era costretti ad amputare gli arti infetti. Ma questa non era l’unica difficoltà; i carcerati erano sottoposti ad ispezioni quotidiane, erano costretti a denudarsi e per giunta a qualsiasi temperatura, in modo che le guardie ispezionassero le loro misere divise fin dentro le cuciture. Con calma ed attenzione mentre i prigionieri restavano lì davanti nudi e infreddoliti. La brutalità del regime carcerario era evidente anche dal cibo che veniva dato; era talmente disgustoso che anche se quasi morti di fame, molti lo rifiutavano e cercavano di farsi dare quello dell’infermeria che consisteva in tre minestre giornaliere ed un pezzetto minuscolo di agnello. Le porzioni erano minuscole, ma almeno si riusciva a mandar giù qualcosa.
La fame, l’aria cattiva ed umida, la paura, la solitudine, gli insetti, le infezioni e le malattie curate male o per niente, riducevano i prigionieri a degli scheletri traumatizzati. Venivano umiliati nel corpo e nello spirito, in una cella fredda e buia. Chi riotteneva la libertà, come Pellico, non si riprese mai più: rimaneva prigioniero dell’insonnia e delle malattie patite.
Erano condizioni disumane e molti non sopravvissero. Ma la cosa più raccapricciante è che in molti paesi le condizioni di vita dei carcerati non sono per nulla migliorate.
Nell’Africa dell’apartheid, precisamente nel carcere di Robben Island, è stato detenuto l’uomo che forse più di chiunque altro al mondo ha dimostrato che per amore di un ideale di giustizia si può vincere qualsiasi avversità. Mandela ha cambiato la storia del mondo da una cella di circa 2m, dove faceva corsa sul posto per un’ora al giorno ogni giorno, dove ha preso una laurea in giurisprudenza e ha imparato correntemente l’inglese mentre era costretto ai lavori forzati.
Aveva diritto ad una visita brevissima ogni 6 mesi, il cibo era pessimo, sempre lo stesso e molto poco per chi deve spaccare pietre o scavare cave o raccogliere alghe tra gli scogli ogni giorno, sotto un caldo insopportabile di giorno ed un’escursione termica notevole di notte. Lui ce l’ha fatta. Era un uomo grandissimo, di un intelligenza ed una sensibilità superiore. Ha trascorso 27 anni della sua vita in prigione ed è diventato Presidente del Sud Africa, ha vinto, tra gli altri, il premio Nobel per la pace e ha saputo governare in pace un paese devastato dal razzismo e dall’odio. E’ stato amato, ammirato e rispettato non solo dal suo popolo (anche dai bianchi) ma dai capi di stato di tutto il mondo che gli hanno fatto visita perfino in prigione.
Ha pagato un prezzo altissimo per difendere le sue idee di libertà e dignità dell’uomo e molti altri come lui non sono sopravvissuti. A causa dell’apartheid ci sono state migliaia di vittime, compresi donne e bambini, prigionieri del colore della loro pelle. Perché prigione non è soltanto una cella, ma anche una vita passata a nascondersi, ad aver paura di uomini che occupano la tua terra, che ti considerano e trattano come una cosa di nessun valore, che non ti permettono di sedere accanto a loro o di parlare con loro e men che meno affermare un tuo semplice diritto. Chiunque può malmenarti per qualsiasi stupida ragione senza subire per questo nessuna conseguenza. Vivere senza nessuna protezione è comunque una prigione fisica, ma soprattutto mentale; credo sia insopportabile vivere sapendo di non aver nessun diritto e che la tua vita non valga nulla prima di tutto per lo Stato che ti governa.
In alcuni casi la tua vita non vale niente neanche per i tuoi familiari se sei una donna araba e vivi sotto un regime di tipo islamico. Nei paesi musulmani la donna ha meno diritti dell’uomo. Se c’è un’eredità, le spettano le quote minori e la sua testimonianza nei processi vale di meno. Non può decidere di divorziare. Non può viaggiare, guidare, fumare o andare al ristorante da sola. Secondo i fondamentalisti islamici le ragazzine non potrebbero neanche studiare: rischiano la morte. Per uscire di casa devono indossare l’hijab, il velo corto che lascia intravedere i loro occhi, o addirittura il burka, il velo lungo o il maghmaeh che è un vestito molto ampio che non permette di vedere le curve del corpo. Loro appartengono al proprio uomo e a nessun altro e solo da lui possono essere guardate in volto.
A me che vivo in Europa, che sono libera di crescere senza queste bestiali limitazioni sembra assurdo che in qualche parte del mondo ci sia una ragazzina della mia età che rischia di essere lapidata se non indossa un velo o possiede un libro. E’ barbaro e barbari sono gli uomini che vogliono questa situazione. Sarebbe curioso invertire le parti per qualche anno…giusto il tempo di educare gli altri a non essere così vigliacchi ed ignoranti.