di Alessandra Cuttaia – Ogni 21 marzo, ormai da 23 anni, viene organizzata la Giornata della Memoria e dell’Impegno, promossa dall’Associazione Libera di Don Luigi Ciotti.
In questo giorno di primavera, insieme al risveglio della natura, si cerca di risvegliare le coscienze ricordando coloro che sono
stati uccisi dalle organizzazioni mafiose. Oggi, in quattromila luoghi sparsi in Italia, Europa e America Latina sono stati letti i nomi delle 950 vittime innocenti delle mafie. Il Giorno della Memoria non è solo un evento contro le organizzazioni malavitose ma è necessario per educare e costruire la cultura e le coscienze perché è sempre presente il pericolo dell’ignoranza e della manipolazione che ci rende prigionieri, annullando le prospettive in qualcosa di diverso e migliore. Quest’anno è stata Foggia il centro della Giornata della Memoria e dell’Impegno. Foggia dove si continua a sparare e la presenza della malavita è così invasiva da spaventare, a differenza di altre città dove ormai le mafie agiscono col metodo della corruzione e della collusione. Il vicepresidente di Libera a Foggia ha dichiarato che dall’inizio del 2017 ad oggi sono 17 le persone ammazzate e due i casi di lupara bianca. Un dato impressionante quanto ignorato. Ciotti, che proprio a Foggia ha tenuto il suo discorso, ha detto che bisogna amplificare il messaggio di questo giorno affinché diventi “assunzione di responsabilità” per tutti. Nella Giornata della Memoria non si vuole colpevolizzare nessun contesto, tacciandolo come mafioso, ma raccontare i fatti, le indagini, le inchieste, le morti avvenute nelle strade e nelle campagne. Anche Licata ricorda in questo giorno le vittime registrate sul territorio locale per mano mafiosa. Noi ricordiamo e ci uniamo al dolore della famiglia di Vincenzo Di Salvo. Di Salvo non fu l’unico sindacalista ucciso negli anni sessanta in Sicilia ma fu quello che è salito meno di tutti agli onori della cronaca. L’uomo, freddato con un colpo di pistola in una sera di primavera, stava dalla parte della legalità. Il “tribunale mafioso” si riunì e giudicò il trentaduenne Di Salvo, operaio incensurato, padre di due bambini, colpevole. Colpevole di guidare lo sciopero e di reclamare i diritti della classe operai. Colpevole di chiedere gli arretrati negati dal datore di lavoro. Il tribunale, quindi, emise la sentenza e brutalmente l’uccise.