Di La Redazione
All’inizio di un nuovo anno si è di solito tutti proiettati verso il futuro, soprattutto se il periodo appena trascorso è stato particolarmente… così così. Questo numero del Meneghini (di una coerenza insolita e quasi spaventosa) propone invece una sorta di pausa di riflessione, soffermandosi sul presente, sul passato e su quanto passato è rimasto nel nostro presente (non possiamo farci niente: noi non siamo come tutti gli altri, ci piace rompere gli schemi… trovate un altro mensile il cui numero di gennaio esce il trentun gennaio!).
Questa nostra epoca sarà probabilmente ricordata come un’epoca di grandi cambiamenti, come tutti i periodi segnati da eventi storicamente significativi. Che piaccia o no, la cesura con il passato sarà netta e, quanto al futuro, mai come oggi ci appare così incerto, enigmatico, nuovo…
Eppure… Eppure qualcosa ci è rimasto; in fondo la soluzione di continuità è una finzione didattico-manualistica. Qualcosa deve pur conservarsi. Se niente permanesse il cambiamento non sarebbe nemmeno percepibile. Dunque, prima di avventurarci in questo nostro futuro che ci aspetta ricco di incognite, fermiamoci un momento a guardarci incontro. Proviamo a capire chi o cosa c’è (ancora), cosa ci è rimasto, e pure di cosa, purtroppo, non ci siamo ancora liberati. Vietandosi, con granitica deontologia professionale, spericolati voli panoramici sul domani (sorretti solo dalle effimere correnti della speranza e della chiacchera) i nostri redattori hanno saggiamente preferito concentrarsi sul “punto della situazione”.
Dunque, come siamo messi? In un periodo di sconvolgimenti continui come questo, il Meneghini (nel senso dell’Istituto) sembra offrirci una garanzia di sicurezza e continuità. Proprio nei giorni in cui finalmente la scuola ci ha riaccolto in carne ed ossa nei suoi funzionalissimi ambienti, abbiamo scoperto che tutti i progetti e le iniziative più apprezzate dagli studenti sono sopravvissuti al tremendo 2020.
E lo stesso si potrebbe dire del Meneghini (nel senso del giornale) con le sue immortali ricette, le sue recensioni sempre rigorosamente “in tema” e i suoi redazionali buttati giù qualche ore prima della scadenza dei tempi utili per la pubblicazione, cercando di “indovinare” il resto del numero, ancora in fase di “fabbricazione”.
Il problema è che il mondo è un po’ più grande del Meneghini (sia nel senso dell’Istituto, sia nel senso del giornale). Allargando lo sguardo al di là del proverbiale “giardinetto”, pare proprio che il rassicurante senso di continuità di cui sopra debba cedere il posto all’inquietudine e all’indignazione determinate dalla recrudescenza di un certo passato che proprio non vuole saperne di passare. Molti articoli di questo numero ci mostrano che le discriminazioni e le prevaricazioni che hanno oppresso per secoli l’umanità sono, purtroppo, ancora argomento di attualità.
Dunque, come siamo messi? In fin dei conti, alla luce del cosiddetto “stato dell’arte”, non possiamo che ammettere di ritrovarci nella solita situazione in cui tutti quanti, più o meno ragionevolmente, speriamo in un futuro migliore. E in fondo non c’è nulla di più tradizionale. La speranza nel futuro è un retaggio del passato.