di Tania Barcellona
Eccola, è tutta rannicchiata la piccola Rosalia per proteggersi dal vento gelido che le scompiglia i capelli color del grano e che le penetra come una lama tagliente dentro le ossa sottili, scuotendola. Invano cerca un precario equilibrio su quel sasso che le fa da seggiola, mentre un cielo gonfio di pioggia si stende su di lei come una coperta umida.
È lì da una decina minuti con un braccio steso a cercare come un rabdomante quell’onda che le permetterà di seguire la lezione.
E mentre sistema i libri e i pastelli sulla robusta cassetta gialla, tiene fisso lo sguardo sullo schermo perché l’aula virtuale dovrebbe essere attiva tra pochi minuti e lei non vuole arrivare in ritardo. È un tipo preciso, Rosalia.
Spera di riuscire, senza troppe interruzioni, a seguire tutta la lezione di arte, che il disegno le piace e anche la letteratura, specie se c’è di mezzo una storia d’amore come quella tra Romeo e Giulietta, che tanto la fece sospirare mentre l’insegnante leggeva le vicende dei due sventurati.
Un bip le annuncia che la lezione sta cominciando, gli occhi le si illuminano e accoglie con un sorriso il piccolo mondo che le si sta palesando davanti, attingendo a pieni mani di quel tesoro offertole. E mentre sorride alza le spalle strette, arriccia il nasino e da quel pozzo di bene arriva un’energia pulita, un senso di dignità che non può non colpire chi la osserva. Mormora un timido buongiorno al prof e ai suoi compagni che hanno gli occhi pesanti di sonno, la voce impastata dal silenzio notturno, ma anch’essi presenti in cerca di una fittizia normalità. Lei è invece desta da qualche ora, ha rinfrescato il viso, sbocconcellato qualche biscottino, tirato i capelli indietro, ancorandoli sotto il cerchietto. Un ultimo sguardo allo specchio per accertarsi di essere in ordine, lo zaino sulle fragili spalle e calpestando la terra molle di pioggia si avvia verso quel luogo che sa di scuola. Ma a lei non importa se la didattica è virtuale e se spesso il viso dei prof. si scompone in milioni di pixel colorati. Lei è lì, in quel fazzoletto di terra, che ha per tetto il cielo e per pavimento l’erba fresca di un primavera piovosa, perché è l’unico luogo in cui può connettersi con glu altri, ma soprattutto perché vuole imparare, vuole studiare, vuole apprendere e conoscere.
E sebbene la geometria qualche volta la fa annaspare e dal flauto escono ancora note stonate, lei non si arrende e mostra una volontà titanica di voler riuscire, di voler percorrere le vie del sapere. E quando il peso dell’insuccesso o di un’offesa ricevuta la devastano, si chiude talvolta in un silenzio rabbioso, che si scioglie presto in un pianto singhiozzante che monda la sua ira e la riporta alla ragionevolezza e alla voglia di riprovarci ancora.
A dispetto dei suoi undici anni, del suo viso di ragazzina non ancora sbocciata mostra una maturità, un sapersi destreggiare tra il caos della vita, che certo per lei non è stata facilissima ma, che lungi dall’incattivirla, l’ha resa una piccola donna, che con mani leste sbuccia il primo raccolto di fave, spolvera, apparecchia, stende al sole la biancheria per sottrarre sua mamma alla fatica della campagna, che oramai, da quando la pandemia ha cambiato la vita degli italiani, li accoglie come un grembo sicuro.
Rosalia, nella sua spartana residenza campestre, lontana dagli agi della vita cittadina, con un telefonino poco più grande della sua esile manina, una manciata di giga e una connessione a singhiozzo, avrebbe avuto tutte le scuse per restare nel caldo abbraccio delle coperte. E, invece, ogni giorno, con il sole e con la pioggia, con il vento e con la nebbia è su quel muretto o dentro l’auto, connessa a quel surrogato di scuola, che pur sempre ha il buon sapore di quella banale ma vitale quotidianità che da qualche mese ci manca come l’aria.