di Michelangelo Suma, ex 5^ AE. – Michael divenne Jordan quando cominciò a pensare da squadra. Il titolo del secondo appuntamento dell’evento “Dialoghi d’impresa”, svoltosi il 7 novembre 2024 alle 19:00 presso Ca’ Dolfin a Venezia, è emblematico nel sottolineare l’evoluzione della carriera del cestista più famoso di tutti i tempi. Durante la serata Federico Buffa, noto volto di Sky Sport, nonché giornalista di grande successo, intervistato dal manager sportivo Andrea Vidotti, interviene per analizzare il carattere del Jordan giocatore, mai separato dal Jordan della vita privata e per raccontare come egli sapesse comunicare con i suoi compagni per vincere ogni partita. Partendo dai primi anni a Willmington in North Carolina, Buffa narra dell’ambiente in cui Jordan crebbe, un contesto particolarmente complicato, con un padre piuttosto severo ed esigente e una situazione economica non rosea, fattori decisivi per la maturazione in lui di un carattere iper-competitivo. Michael, come altri giocatori, vuole primeggiare in tutto, non solo nella pallacanestro, ma anche in ambiti extra-campo come il gioco d’azzardo. La partita diventa così una sorta di terapia, una catarsi in cui Jordan regala agli spettatori il meglio delle sue capacità balistiche, liberando tutto quello che porta in sé, dominando su tutti coloro che sono attorno a lui, compagni compresi. Durante la prima strepitosa stagione 1984-85 con i Chicago Bulls Michael Jordan firma con la Nike un contratto di sponsorizzazione, che in poco tempo rende il cestista più importante e prestigioso della stessa lega NBA: nel mondo intero coloro che non conoscono il campionato di Basket americano hanno comunque udito più di una volta il nome di Michael Jordan. Questo è in quel momento, secondo Federico Buffa, che entra in campo una figura fondamentale, quella del General Manager Jerry Krause, il quale dal 1985 al 1998 costruirà attorno al numero 23 un gruppo formidabile di talenti: Scottie Pippen, Dennis Rodman e Toni Kukoč sono solo alcuni dei nomi che accompagneranno Jordan nella vittoria di ben sei NBA. Michael non è più un battitore libero, ma si trova a trasmettere la sua soglia di prestazione ai compagni, ad infondere la mentalità di giocare forte tutte le partite, cosa che spesso lo porterà ad innervosirsi con chi non dà il 100%. Kobe Bryant, altro noto campione NBA, dirà in un’intervista che non assisteva alle partite solo per veder giocare Jordan, ma per sentirlo giocare, per avere la consapevolezza di come egli interagisse con avversari e compagni. La mentalità da squadra farà raggiungere a Michael Jordan una grandezza irreversibile, simboleggiata da quell’ultimo canestro della carriera con i Bulls nel 1998 contro gli Utah Jazz a 5 secondi dalla fine, azione in cui, rimanendo con il braccio sospeso in alto un secondo dopo aver centrato l’obbiettivo, osserva tutta la sua onnipotenza.