La Redazione –
Nel 1985 la Comunità Economica Europea, in ricordo della proposta che Schuman aveva presentato per la creazione di un nucleo economico europeo, decise di adottare le data del 9 maggio per celebrare la Festa dell’Europa o Giorno Europeo. Il ministro degli Esteri francese Robert Schuman aveva esposto a Parigi, nella sua famosa dichiarazione del 9 maggio 1950, il piano di una nuova forma di cooperazione politica per l’Europa, che avrebbe reso impensabile una guerra tra le nazioni europee. Da allora si considera la Dichiarazione di Schuman il primo discorso politico ufficiale in cui compare il concetto di Europa, intesa come unione economica e, in prospettiva, politica tra i vari Stati europei ed è perciò considerato come punto di partenza del processo d’integrazione europea.
I Padri fondatori della Comunità europea |
Oltre a Schuman, possiamo considerare padri fondatori della Comunità europea altri uomini politici, come il francese Jean Monnet, il tedesco Adenauer, gli italiani Alcide De Gasperi, Ernesto Rossi e Altiero Spinelli.
De Gasperi era convinto che la Seconda Guerra Mondiale avesse insegnato a tutti gli europei la seguente lezione: “Il futuro non verrà costruito con la forza, nemmeno con il desiderio di conquista ma attraverso la paziente applicazione del metodo democratico, lo spirito di consenso costruttivo e il rispetto della libertà”. Questa visione spiega perché accolse subito l’appello per un’Europa integrata lanciato da Robert Schuman il 9 maggio del 1950, che portò alla fondazione, l’anno dopo, della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA). Nel 1954, divenne il primo Presidente dell’Assemblea parlamentare della CECA e, anche se il progetto infine fallì, De Gasperi fu un difensore e fautore della politica europea comune di difesa. Durante questi primi passi verso l’integrazione europea, il ruolo di De Gasperi è stato quello di un mediatore tra Germania e Francia, che erano state divise da quasi un secolo di guerre. Negli ultimi anni di vita De Gasperi fu inoltre uno dei promotori della creazione della Comunità economica europea. Nonostante non sia vissuto abbastanza per vederne l’attuazione (morì nell’agosto del 1954), il suo ruolo ricevette ampio riconoscimento quando nel 1957 vennero firmati i Trattati di Roma. De Gasperi era particolarmente cosciente del fatto che l’unità europea fosse necessaria per curare le ferite di due Guerre Mondiali ed evitare che le atrocità del passato si ripetessero. Era motivato da una chiara visione di un’Unione europea che non avrebbe rimpiazzato i singoli Stati ma li avrebbe aiutati a completarsi vicendevolmente.
Ernesto Rossi e Altiero Spinelli esposero le loro idee europeiste nel saggio “Per un’Europa Libera e Unita. Progetto d’un manifesto” nel 1941, durante il confino a Ventotene, e lo pubblicarono per la prima volta nel 1944 alla vigilia della liberazione. Questo scritto, per la visione comune dell’Europa che ci offre, è oggi considerato uno dei testi fondanti dell’Unione Europea. Come manifesto programmatico, esso si proponeva il compito di superare le divisioni nazionali che avevano condotto alle esperienze totalitarie e alla Seconda guerra mondiale, tramite quelli che gli autori definivano “i compiti del dopoguerra”: la ricostruzione non degli spazi nazionali, bensì dello spazio politico europeo.
Un’Europa che deve camminare insieme |
Certamente il manifesto è molto attuale in questo momento, all’indomani di quello che è stato definito, pressoché all’unanimità, come un accordo storico senza precedenti, il Recovery Fund. L’accordo, raggiunto dopo una fra le più lunghe trattative del Consiglio europeo, è stato salutato con soddisfazione come una risposta comune, a testimonianza di una visione che rafforza la dimensione comunitaria ed aumenta le “capacità di un’Europa che deve camminare insieme” da David Sassoli, presidente del Parlamento Europeo. Sulla pluralità di posizioni e di interessi nazionali che si sono confrontate e hanno dato origine a quella che appariva come una lotta fra due blocchi, il Nord e il Sud dell’Europa, parrebbe alla fine aver trionfato una visione comunitaria che si installa all’interno del perimetro europeo, al fine di contrastare la paura diffusa fra i cittadini ed il distacco dalle istituzioni e di salvaguardare i principi di solidarietà e di responsabilità verso i popoli europei.
Nelle parole che riecheggiano in lungo e in largo all’interno dello spazio politico europeo oggi sembrerebbe di rileggere i propositi, le speranze e i compiti che si prefiggevano Rossi e Spinelli ottant’anni fa. È tuttavia opportuno indicare una differenza di prospettiva: mentre i leader dei nostri governi parlano della dignità dei singoli paesi e della loro responsabilità, Rossi e Spinelli scrivevano di un unico popolo europeo; mentre le recenti decisioni, pur testimoniando una visione comunitaria, sono state prese dai leader dei singoli stati membri, loro auspicavano “la definitiva abolizione della divisione dell’Europa in stati nazionali sovrani” e in definitiva una “riorganizzazione federale dell’Europa”.
Si può dire che l’unificazione politica dello spazio europeo passa oggi anche per una risposta comune alle due maggiori crisi del tempo presente, quella climatica e quella migratoria, e in particolare per una gestione comune dei flussi, per il rispetto della libertà di movimento e dei diritti umani enunciati nella Dichiarazione universale, per un’applicazione congiunta dei principi europei della solidarietà e dell’accoglienza, nonché infine per l’azzeramento del processo di esternalizzazione delle frontiere europee.
All’indomani dell’accordo sul Recovery Fund, così come nel dopoguerra, assistiamo non a una modificazione bensì a uno spostamento, uno slittamento dello spazio della rappresentanza e della partecipazione politica. La linea di divisione, di demarcazione, è non più fra le forze progressiste e le forze reazionarie, ma fra forze europeiste e anti-europeiste.
Oggi come ieri, le più grandi sfide non possono trovare soluzione sul piano nazionale ma solo a livello europeo.
Alla vigilia del trentesimo anniversario del Trattato di Maastricht, Rossi e Spinelli ci rammentano il nostro compito primario in quanto cittadini europei, quello cioè dell’istituzione di uno spazio politico europeo che passa attraverso un’azione coordinata e plurale, partecipativa e attiva, aperta e rivolta a tutti i cittadini e residenti, che, sola, può realizzare appieno il principio fondante dell’integrazione europea. Il loro pensiero è quanto mai attuale.
Già prima della pandemia i limiti dell’assetto istituzionale europeo erano emersi con la Grande Recessione del 2010, che ha mostrato come l’Unione, divisa e priva degli strumenti per una risposta comune, abbia faticato nell’affrontare la tempesta. Il continente europeo è stato travolto da enormi ripercussioni economiche e sociali che hanno contribuito a dare forza a spinte nazionaliste e sovraniste, mettendo in discussione la stessa sopravvivenza del progetto europeo.
Il COVID-19, mettendo le nostre società di fronte alla propria enorme fragilità e interdipendenza, è a tutti gli effetti la più grave crisi che le nostre società si siano trovate ad affrontare dal secondo dopoguerra.
La celebrazione del 70º anniversario della dichiarazione Schuman nel 2020 ci incoraggia a promuovere, ancor più in questo periodo di difficoltà e di incertezza legato alla pandemia, la necessità di questa festività che è ancora più importante e sentita proprio perché l’Europa sta mettendo in campo svariate risorse per affrontare la crisi ai vari livelli (sanitario, economico, sociale e finanziario).
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