Con le scuole chiuse da settimane, in Italia bambini e ragazzi affrontano la quarantena per il coronavirus con delle vere e proprie “maratone” a Fortnite e altri videogiochi che possono coinvolgere più giocatori contemporaneamente come Call of Duty, ma anche a piattaforme di streaming video come Netflix, occupando molta più banda rispetto a semplici software o app utilizzate dagli adulti che lavorano da casa. Un surplus che ha messo a dura prova l’infrastruttura italiana.
Questi giochi, purtroppo, spesso sono causa di dipendenze.La dipendenza da videogame è entrata ufficialmente a far parte delle patologie più importanti. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha, infatti, l’uso compulsivo dei videogiochi, nella bozza dell’undicesima edizione della ICD, classificazione internazionale delle patologie, definendolo come “una serie di comportamenti persistenti o ricorrenti che prendono il sopravvento sugli altri interessi della vita“.
Si tratta di un segnale importante che gli esperti hanno voluto lanciare, affinché questo riconoscimento possa favorire una maggiore consapevolezza e attenzione sul fenomeno, una maggiore attività di prevenzione e sensibilizzazione dei ragazzi e delle loro famiglie e, quando necessario, il ricorso alle più adeguate ed efficaci strategie di intervento.
Un utilizzo distorto dei videogiochi può rappresentare un fattore di rischio per lo sviluppo di dipendenza tale da compromettere lo svolgimento di tutte le altre normali attività quotidiane, la salute fisica e le relazioni sociali.
I dati dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza Onlus, raccolti su un campione di 11.500 adolescenti, evidenziano come siano soprattutto i maschi a manifestare problematiche maggiori rispetto all’utilizzo dei videogame.
Tra i 14 e i 19 anni, il 36% dei ragazzi gioca circa 1,5 ore al giorno e l’11% dalle 3 alle 6 ore quotidiane. Un abuso di tali dispositivi si è rivelato essere ancora più rilevante tra i più piccoli, nella fascia 11- 13 anni: il 50% gioca in media 1,5 ore al giorno, il 15% dalle 3 alle 6 ore e il 4% più di 7 ore.
Il 44% di questi preadolescenti, inoltre, gioca connesso alla rete; un dato molto rilevante se si pensa al fatto che l’adescamento dei minori nei giochi online è in forte crescita e i ragazzi, spesso anche adulti e genitori, sono ancora poco informati sulle modalità attraverso le quali è possibile essere adescati su Internet e poco consapevoli dei reali rischi che si corrono.
È importante sottolineare che non è certo l’uso in sé dei videogiochi che deve preoccupare o deve essere vietato. Giocare in maniera adeguata ai videogiochi può attivare tutta una serie di capacità cognitive come il problem solving, l’attenzione prolungata e la reattività. Molti videogiochi, inoltre, consentono una modalità in multi-player che permette ai ragazzi di giocare contemporaneamente con i loro amici e compagni, magari nella stessa squadra, anche quando non sono fisicamente vicini. Questi aspetti possono favorire la cooperazione e il rispetto degli spazi, delle regole e dei tempi dell’altro, aiutarli a gestire le frustrazioni e ad affrontare le sconfitte.
Il disagio si manifesta quando si verifica un abuso dei giochi elettronici, quando un loro utilizzo continuativo e sistematico prende il sopravvento, occupa gran parte della giornata dei ragazzi e finisce col sostituirsi ad ogni attività quotidiana. In tali situazioni, bambini e ragazzi tendono a isolarsi dalle relazioni, a chiudersi in se stessi e in quel mondo virtuale che può diventare, soprattutto nei momenti di maggiore fragilità, una modalità per evadere dalla quotidianità, sperimentare sensazioni nuove ed evitare il senso di incapacità spesso vissuto in altri contesti. Non si tratta quindi solo del numero di ore trascorse davanti agli schermi, ma di tutta una serie di cambiamenti che sconvolgono la quotidianità, l’umore e il comportamento di bambini e ragazzi.
Possono diventare apatici, irrequieti e irritabili, modificare le proprie abitudini alimentari, di igiene personale, del sonno, possono giocare di nascosto, litigare con i genitori e avere esplosioni di rabbia quando non vogliono terminare la partita o se il genitore decide di interrompere bruscamente il loro gioco. Possono arrivare a trascurare la scuola, lo sport e le relazioni e presentare sintomi fisici, come mal di testa, mal di schiena, disturbi della vista.
La responsabilità di questi atteggiamenti cade anche sui genitori: tanti bambini crescono con l’immagine dei propri genitori costantemente attaccati a tablet e smartphone. E’ un esempio negativo, che va a rinforzare una condotta di abuso degli strumenti tecnologici, anche nel quotidiano, visto sempre più naturale e automatico. In una società come quella odierna, in cui i genitori sono spesso sempre più assenti e gli strumenti tecnologici diventano dei veri e propri amici digitali, si innesca più facilmente una forma di dipendenza e diviene sempre più difficile riconoscerne i segnali ed educare ad un corretto uso di questi strumenti.
Piuttosto che attaccarli, è importante insegnargli a sfruttare al meglio la capacità di vivere in multitasking, non fargli mai perdere l’aderenza con la realtà, ponendo dei limiti e dei confini ben definiti, perché in rete si può arrivare ovunque, a tutte le ore del giorno e della notte, e i più piccoli non sono ancora pronti a gestire tutto questo da soli.
D. Bonaventura 2H