Caro Diario,
in questo tempo sospeso che stiamo vivendo, spesso il mio pensiero va ad un giorno particolare. Era il 4 marzo e nessuno di noi poteva immaginare che sarebbe stato l’ultimo giorno di scuola.
In quella giornata abbiamo lasciato la nostra classe sapendo che ci sarebbe stata una breve interruzione, ma tutti noi ragazzi immaginavamo di tornarci quando tutto sarebbe finito! Avevamo sentito la notizia che sarebbe stata chiusa per quindici giorni, ci sembrava un’infinità di tempo, spesso ci era capitato che il sindaco chiudesse per allerta meteo, ma due/tre giorni, non di più.
Il cancello della scuola si è chiuso dietro di noi, a sapere che sarebbe stato l’ ultimo giorno di scuola alla Maiuri, alle medie, avremmo organizzato una festa con gavettoni e musica in piazza Immacolata.
Una volta arrivati a casa, tutti davanti alla TV e ai cellulari, aspettavamo la notizia. Non potevamo crederci, nessuno avrebbe mai pensato che alle 5 del pomeriggio, quando avevamo quasi perso le speranze, la Ministra dell’Istruzione avrebbe annunciato l’ufficialità della chiusura. Non sapevamo se essere felici o tristi. Da un lato, certo, era come anticipare le vacanze di Pasqua! Quale ragazzo non sarebbe stato felice di stare lontano da scuola, dall’altro era davvero tanto tempo e poi i telegionali ed i giornali in continuazione sottolineavano la gravità dell’emergenza sanitaria.
Nell’aria non c’era paura, ma più sospetto, certo nessuno di noi poteva prevedere quello che poi sarebbe accaduto nei mesi successivi.
Il virus aveva già iniziato il suo cammino di morte, ma in un paese lontano, la Cina!
Già dagli ultimi giorni di febbraio qualcosa si percepiva, i bar stavano pian piano svuotandosi, si cercava di frequentare il meno possibile i luoghi affollati ma, francamente, se mi avessero detto che di lì a poco si sarebbe potuto uscire solo bardati con una mascherina e con la distanza di un metro dal prossimo, mi sarei fatto una bella risata!
Oggi però, 19 maggio, caro diario, la nostra concezione della vita è profondamente cambiata. Abbiamo iniziato ad apprezzare anche la semplice camminata per andare magari al supermercato, andare a trovare i propri nonni e, qualcosa che non avrei mai pensato di scrivere, di andare a scuola (cosa questa che non avrei mai pensato di rimpiangere)!
Certo, in questi mesi abbiamo scoperto un altro modo di fare scuola. Tutti davanti a un pc o un telefono, con la didattica a distanza, con video-lezioni e connessioni talvolta birichine che mandavano tutto in tilt. Le comunicazioni spesso interrotte da frasi del tipo: “Io la sento… ma non la vedo” “Io la vedo… ma non la sento” accompagnati da sottofondi di aspirapolveri, dal vociare di fratelli, di genitori, tutti a lavoro a casa.
Ma questo metodo non può assolutamente essere paragonato allo svegliarsi tutte le mattine alle 7, con la consapevolezza di stare per vivere la “solita giornata”, di vedere i nostri compagni e i nostri amici, oggi, che la quarantena si è allentata, a distanza di quasi tre mesi da quel 4 marzo, posso dire che ciò che più ci manca è la normalità, la quotidianità di abbracci, di vicinanza, di amicizia, di sogni, di sfottò che puoi condividere solo con il contatto con i coetanei e che uno schermo, ahimè, non ti può restituire.