- Di Ginevra Lo Cicero, classe 3^A
25 Dicembre 1917
Caro Diario, sono tremendamente avvilita.
Questa guerra non tiene conto dell’età, della volontà o delle date.
Oggi sono stata costretta a combattere tra file degli Alpini, contro i miei compatrioti austriaci.
Ho solo dodici anni, e la guerra ha stravolto anche la mia vita.
E’ come un onnipotente mostro che travolge tutto quello che trova, e distrugge tutto.
E’ Natale, e dovrei essere nella mia baita in Sudtirolo a festeggiare con la mia famiglia.
Invece sono quì, condannata a uccidere amici, durante una festa santa, sotto gli occhi di Gesù.
Quel Gesù che ha passato la vita a predicare l’amore, e che adesso è costretto a vedere bambini obbligati a uccidere nel suo giorno di festa.
A questo pensavo mentre sfilavamo tutti davanti al capo ufficiale, anche lui della mia stessa età, anche lui triste e oppresso. Ma è possibile che i soldati non abbiano cuore?
La disfatta di Caporetto aveva aumentato l’ira degli italiani, così avevano varcato il confine e avevano costretto quante più persone possibile ad arruolarsi nei loro ranghi, me compresa.
Poi ci fecero imbracciare il fucile, e io l’ho guardato.
Ecco il responsabile di tutto, quell’arma di distruzione che ruba la vita e permette agli uomini di uccidersi a vicenda. Anzi no, i responsabili sono quelle persone senza cuore che vogliono la guerra per i loro interessi personali, a cui non interessa che muoiano centinaia di persone, pur di vedere i loro desideri soddisfatti. Ma perchè c’è la guerra, perchè proprio a me?
Così, con il cuore stretto in una morsa d’acciaio crudele come quello con cui sono costruiti i fucili, abbiamo marciato pesantemente verso il fronte. Le armi sbattevano dolorosamente contro la nuca, e lo zaino pesava così tanto che sembrava che ci avessero messo le pietre, per il semplice gusto di farci provar fatica. Poi ho ripensato al fatto che avrei dovuto uccidere, e provai un lampo di terrore.
No! Non a me, vi prego! Non alla mia età, non nel giorno di Natale! Non capite che siamo tutti uguali, tutti abitanti del mondo, e tutti fratelli poiché figli di Dio, Dio che non vuole tutto questo?
Svegliatevi! Sciogliete il ghiaccio dei vostri cuori, che la guerra ha reso freddi e insensibili, e riscoprite in voi un po’ d’umanità!
Poi ho visto all’orizzonte le file dell’esercito austriaco, tra cui distinsi anche mio fratello.
Era davvero troppo. Non lui! Ho pensato atterrita.
Poi le mie cellule cerebrali si bloccarono, e ho fatto ciò che mi dettava il cuore: mi sono staccata dalle file dell’esercito, e l’ho raggiunto in una corsa disperata, urlando tra le lacrime e con un nodo in gola: “No, non tu!”.
L’ho abbracciato, ed è avvenuto un miracolo.
Non so cosa è stato a destare tutti, se la spontaneità, la disperazione o l’affetto di quel gesto, fatto stà che un silenzio religioso è calato sulla folla, e i più vicini si dimenavano a disagio.
I capi dei gradi più alti continuavano a urlare “Sparate, razza di idioti, femminucce, vigliacchi!”, ma in quell’istante tra le alte vette e i valichi alpini è risuonata una potente parola: “PACE!”.
Nei rosati colori del tramonto è spuntato un arcobaleno, un miracolo, dato che aveva nevicato tutto il tempo. Sotto il miracoloso arco della pace, tra la luce rossa, gli eserciti hanno lasciato cadere le armi e si sono avviati verso casa. Oggi Gesù ha vinto.