Di Elena Carbutti – classe III sez. L
La DDI, così è stata chiamata la modalità scolastica di quest’anno scolastico… Sono passati quanti? 8, 9 mesi? Eppure ancora non ci si capacita di tutto ciò che è accaduto E ci sta accadendo. Un giorno, conduci la tua normale, quasi banale, esistenza tra scuola, compiti, uscite con le amiche e pizza il sabato sera e il giorno dopo vieni catapultata in un’altra dimensione, priva di un qualsivoglia tipo di normalità. Ansia, frustrazione, paura, sollievo, angoscia, noia, esasperazione, per la prima volta la sensazione di essere prigionieri… Sono crollati tanti Stati, e con essi tanti miti, la figura del super-uomo, invincibile, moderno, capace di fronteggiare tutto e tutti, si è sgretolata sotto gli occhi dell’intera umanità, lasciando al suo posto, quel senso bruciante e acido di sconfitta, impotenza, arrendevolezza… Tutto questo si è riversato su tutti, senza distinzioni di nazionalità, sesso, religione, età, si potrebbe dire, con un perverso senso dell’umorismo, esercitando un’uguaglianza senza precedenti. Ormai chiunque, dal bambino di tre anni, all’anziano centenario, conosce il significato della parola “coronavirus”, un batterio microscopico che ci ha sopraffatti tutti, contro cui niente, nessuna delle nostre invenzioni, delle nostre tecnologie, ha potuto qualcosa. Quest’estate ci si era persuasi che tutto fosse finito, che si potesse finalmente uscire da quell’esasperante condizione di stand-by in cui il coronavirus aveva messo la nostra vita, ed invece, eccoci, di nuovo qui, al punto di partenza. Ora la DAD è diventata DDI e lo shock è stato minore, ma comunque la situazione è rimasta quasi immutata, caratterizzata sempre da quell’incertezza palpabile circa il futuro, dallo sguardo preoccupato negli occhi degli adulti, che ostenta una certa rassegnazione, dalla paura che li colpisce quando i loro figli osano anche solo ipotizzare di mettere il naso fuori casa. Nonostante tutto, però, non posso fare a meno di provare una certa felicità, quando vedo che tutte le persone che amo sono con me: la pandemia e il Coronavirus sono orribili, questo non lo si può negare, eppure ci hanno permesso di riscoprire la gioia dello stare tutti insieme, il sollievo nell’addormentarsi la sera rendendosi conto, a dispetto di coloro che stanno piangendo i loro morti, di aver trascorso un’altra magnifica giornata, priva di brutte notizie, l’importanza di stare con gli altri e l’esigenza spontanea e sincera di dire a tutti coloro a cui tieni un “ti voglio bene” e di stringerli forte, almeno coloro che vivono con te, cercando di trasmettere con queste parole elementari e questi gesti semplici tutto quello che provi nei loro confronti, la gratitudine per tutte le volte che ti hanno abbracciata e perdonata, l’affetto che non è cambiato nonostante il poco tempo passato insieme e il troppo lontani, il pentimento per tutte le volte che gli hai feriti, la felicità per averli ancora con te… Tutto sembra strano, sbagliato: a quest’età gli adolescenti dovrebbero passare una buona parte del loro tempo ad odiare i genitori, non certo a dichiarargli ripetutamente il loro affetto… Eppure succede proprio questo, perché i genitori e i parenti sono ora, almeno per me, l’unico sostegno che mi impedisce di farmi prendere dalla disperazione: sembrerò melodrammatica ma mi basta solo guardare fuori dalla finestra per percepire un crampo allo stomaco: le strade vuote, il distanziamento, le così tante morti… che senso ha continuare a resistere, ad impegnarsi se la vita è così triste e grigia? Perché non ci si arrende e basta, ci si arrende al fatto che la morte non è solo naturale ma probabilmente anche imminente? Perché e con quale forza i medici continuano ad alzarsi dal letto ogni giorno e a fare il loro lavoro, vedendo spegnersi, davanti a loro, questa miriade sconfinata di persone, come candele spente da una folata di vento troppo forte o secche foglie autunnali staccatosi da un ramo? Poi, guardo Claudia, Vicky, Mika, Marco e tutti gli altri e ricordo che si ha la forza di lottare, di non cedere non per timore nei confronti della propria vita ma per quella di coloro che si amano, si può accettare la propria morte, ma non la fine della vita dei tuoi familiari. Anche la scuola aiuta, più di quanto si possa immaginare, ad evitare di impazzire: innanzitutto restituisce alle giornate tutte uguali una certa identità, scandisce il ritmo del tempo, ti dà un pretesto per non stare tutto il giorno a letto, crogiolandoti nell’autocommiserazione, ti fornisce, con le infinite pile di libri, la distrazione perfetta, tenendo lontano i pensieri dalla situazione terribile che si sta vivendo. Certo, è triste interloquire con compagni e professori solo attraverso lo schermo, però è sempre meglio di quell’insopportabile silenzio, angoscioso e buio, che ti ricorda la terrificante condizione attuale dell’umanità. Ora per fino le chiacchiere di attori, film e musica, che mai mi avevano attirato particolarmente, mi appaiono quasi vitali, riempiono le mie orecchie di voci di persone, schiacciano il senso opprimente di solitudine e mi fanno immaginare di essere in classe, di passare una tranquilla ricreazione con le mie amiche, sedute attorno ad uno dei soliti banchi. Anche le lezioni sono piacevoli, perché sembrano dire che questa situazione è meno grave della mancanza di istruzione, che non è irreparabile, che c’è di peggio, come prendere un’insufficienza o cannare una verifica, come ci viene ricordato dalle raccomandazioni dei professori a studiare… Ora anche i loro rimproveri sono meno sgradevoli, perché ci riportano ai rosei tempi in cui avevamo combinato qualche pasticcio a scuola… Praticamente qualsiasi cosa ci ricordi la vita prima del lockdown è gradita. Ognuno sta gestendo questo periodo facendo tutto ciò che può per riconquistare un po’ della normalità perduta: nella mia famiglia, abbiamo iniziato a sfornare dolci ogni fine settimana e a passare più tempo insieme di quanto sia conveniente e non sempre in maniera pacifica; le mie cuginette stanno crescendo super viziate, circondate sempre da parenti disposti a passare ore a giocare a nascondino o a vedere Daniel Tiger e i cani inizieranno a perdere i peli a causa dello stress causatogli dall’essere circondati da un numero considerevole di esseri umani sotto i 15 anni di vita che li trattano come bambolotti e peluche ed io passo il tempo ascoltando musica, studiando, leggendo più voracemente del solito e degustando dolci appena fatti. Tutto sembra scorrere al rallentatore, come se il tempo si fosse fermato e continuasse a scorrere solo in quella piccola parte di mondo che è casa nostra, dove si cerca di vivere una vita tranquilla e, nei limiti del possibile, non troppo angosciata, concentrandosi sugli aspetti positivi e non su quelli negativi, e sul presente e non sul futuro, continuando a dare importanza alle piccole cose, quelle che si è in grado di gestire evitando di soffermarsi su quelle che sfuggono al nostro controllo, continuando a ridere alle smorfie di Vicky, ad applaudire alle nuove parole di Mika, a commuoverci davanti ad un film e a sbavare davanti ad un tortino al cioccolato caldo e delizioso, che aspetta solo di essere mangiato. Non sarà una bella situazione, ma abbiamo la fortuna di stare ancora bene, perciò perché sprecare il tempo ad angosciarci su qualcosa che non possiamo prevedere? Secondo me, è meglio vivere questa situazione nel modo migliore possibile, continuando a sperare che finisca e che ci si possa finalmente riappropriare della propria vita.