Quando sono arrivata, dopo aver conseguito il titolo per il sostegno, la scuola era molto diversa da com’è adesso. Vi erano molti alunni e poche aule, così facevamo i doppi turni. La sera le lezioni terminavano alle 17.40 e non era piacevole uscire da scuola a quell’ora, perché la zona era abbastanza isolata. La scuola era organizzata in modo diverso, non era ancora iniziata l’era del digitale nella scuola. Lavagna e gessetti erano gli strumenti principali della didattica, non c’erano tutte le opportunità che esistono adesso: cellulari, tablet, Pc e LIM. Era davvero un altro mondo … scolastico. Confesso anche che a scuola regnava un po’ di confusione e che a organizzare egregiamente l’Istituto è stata poi la Preside Maria Di Naro, all’inizio degli anni ’90.
Ci racconti qualcosa della sua vita scolastica e del suo percorso di studi …
Avrei voluto fare il liceo artistico, perché avevo una vera passione per il disegno, ma mia madre purtroppo non me lo ha concesso. Ho così frequentato il liceo scientifico, ho iniziato gli studi di giurisprudenza. Anche questa facoltà è stata scelta un po’ forzatamente, in qualche modo per oppormi a mia madre. Dopo due anni ho lasciato perché mi sono resa conto che si trattava di un mondo che non faceva per me. Ho pensato allora di iscrivermi all’Istituto Superiore di Educazione Fisica, visto che, assieme al disegno e alle varie espressioni artistiche, amavo parecchio anche il movimento e l’attività fisica. L’ISEF si è rivelata la facoltà giusta per me e lì mi sono laureata nei tempi previsti, col massimo dei voti.
Qual è il suo sport preferito?
Il mio sport preferito è il nuoto, ma ho praticato anche atletica e il getto del peso.
Come mai ha poi scelto di diventare insegnante di sostegno?
Inizialmente ho seguito il percorso formativo per diventare insegnante di sostegno anche per poter rimanere a insegnare in città; ma poi ho scoperto di avere molto a cuore i ragazzi con disabilità e così sono rimasta sul sostegno e non sono più passata all’insegnamento dell’educazione fisica. Ho però coltivato la mia passione per lo sport dedicandomi alla psicomotricità (l’attività fisica che riguarda le interazioni tra funzioni motorie, sensoriali e cognitive)e a progetti sportivi pomeridiani. Anche quest’anno, ad esempio, ho tenuto a scuola un corso di avviamento alla pallavolo per alunni di varie classi.
Quale tipo di didattica usa con gli alunni disabili?
Si tratta ovviamente di una didattica inclusiva, che parte da quello che l’alunno sa fare, dai suoi punti forti e non da quelli che possono essere i suoi limiti. Ho sempre poi privilegiato l’integrazione dell’alunno disabile con i compagni, nella sua classe, valorizzando il rapporto con i compagni. L’alunno disabile fa quello che fanno i compagni, magari in modo semplificato e con metodologie che lo aiutano. E poi – come sosteneva Maria Montessori – i metodi e le strategie didattiche che hanno successo con gli alunni disabili e/o con gli alunni difficili servono, sono utili a tutti gli alunni.
Quali alunni le sono rimasti particolarmente impressi? Ce ne racconti la storia …
Tra i tanti alunni che mi sono stati affidati, e che ricordo tutti con grande affetto, due volti in particolare sono impressi nella mia mente: quello di Miriana e di Giada.
Miriana è stata mia alunna circa tredici anni fa. E’ diventata cieca a quattro anni a causa di una grave malattia genetica. Aveva anche serie difficoltà motorie. Ma Miriana era una forza della natura: sempre allegra, sorridente, curiosa e vogliosa di imparare. Sopperiva con gli altri sensi e con una grande sensibilità alla mancanza della vista. Era legatissima a me e ai compagni: riusciva a percepire da minime sfumature di voce come stava ciascuno di noi.
Ricordo con commozione che ogni anno voleva testardamente farmi un pensierino per il mio compleanno: conservo ancora con grande affetto una sua sciarpetta nera. Perché, pur se non vedente, Miriana aveva una sensibilità spiccata nell’intuire anche i colori degli abiti indossati dai compagni e sapeva quali erano i miei colori preferiti..
Giada è la mia attuale alunna che è affetta dalla SMA, atrofia muscolare spinale, non si muove e parla con difficoltà, perché i suoi organi fonatori sono compromessi. Purtroppo ha anche gravi problemi nell’alimentazione. Giada, viste le sue condizioni, usufruisce dell’istruzione domiciliare. Infatti vado da lei ogni giorno per fare lezione, lei studia usando il computer e manda messaggi ai compagni. Giada ha tanta voglia di imparare, anche lei, come Miriana, è una ragazza solare, curiosa e molto forte.
Ha trovato una classe molto affettuosa, la III F, con cui entra in contatto attraverso Skype e la messaggistica. I compagni la vanno spesso spontaneamente a trovare nel pomeriggio.
Ci sono anche altre due insegnanti che partecipano al percorso d’istruzione familiare di Giada, l’insegnante d’italiano, la professoressa Abbate, e l’insegnante di matematica, la professoressa Iapichino, e che studiano con lei a casa sua una volta a settimana. Sono molto contenta perché Giada verrà a sostenere gli esami di fine ciclo, gli orali, a scuola.
Ho cercato di dare il meglio di me a Miriana e Giada; ma posso affermare che queste due ragazze mi hanno dato più di quanto io abbia dato loro: mi hanno davvero arricchito parecchio.
Come è cambiata la scuola dal 1985 a oggi? Che differenza nota tra gli alunni di allora e quelli di oggi?
Noto una grande differenza, sia in positivo sia in negativo. Gli alunni di ieri, a mio avviso, erano più disciplinati, ma meno curiosi, meno vivaci intellettualmente e, direi, meno “svegli” e pronti di quelli di oggi, che però mancano talvolta di responsabilità e di rispetto della scuola.
Abbiamo sentito parlare del laboratorio di comunicazione sonora? Di che si trattava?
Il laboratorio è partito dalla mia personale conoscenza con due professori di musicoterapia, Marcello Merlo e Patrizia Giancontieri, due bravi professionisti che mi hanno consentito di conoscere la musica come cura e come comunicazione. Abbiamo realizzato un laboratorio di comunicazione sonora usando una gran varietà di strumenti: violoncello, tamburi, bastone della pioggia, violini, chitarra, contrabbasso, xilofoni, grancassa, jambè, maracas, tamburi tunisini, flauto di Pan .. Al laboratorio partecipavano le classi in cui erano presenti degli alunni disabili. Non si usavano le parole per comunicare, ma il suono degli strumenti per poter esprimere i propri sentimenti e le proprie emozioni. L’esternazione delle emozioni era individuale e collettiva e aiutava non solo l’alunno disabile a integrarsi, ma anche tutti gli alunni, i cui vissuti erano vari e diversi e talvolta molto problematici. Ognuno- attraverso il linguaggio della musica- comunicava i propri vissuti e si potevano anche affrontare le proprie difficoltà di relazione. Alla fine dell’anno c’era un prodotto finale e i lavori fatti all’interno dei piccoli gruppi venivano a costituire un lavoro unico, abbellito da una coreografia costituita anche da disegni, manufatti, costumi. Il laboratorio di comunicazione sonora è stata davvero un’esperienza didattica unica e molto efficace e arricchente.
Come mai questo bellissimo laboratorio è terminato?
Il MIUR all’inizio dava le risorse finanziarie per realizzare questo e altri laboratori e pagare gli insegnanti specializzati, poi i finanziamenti si sono drasticamente ridotti. Gli strumenti che utilizzavamo ora rivivono in parte nel lavoro dei colleghi di musica e della professoressa Richichi. A ricordo del professore Merlo, che purtroppo è morto ancora giovane in un incidente automobilistico, sono stati piantati a scuola gli alberi di “Tabebuia” impetiginosa che si trovano proprio all’ingresso della scuola .