di Marcella Stabile (classe 5^B) – Arrivata in Italia da Los Angeles con i capelli biondi pettinati da diva del “bosco sacro” cinematografico, gli occhi grandi da gatta e andamento sensuale, la bellissima attrice Costance Dowling, con sua sorella Doris, cercava fortuna nella patria del cinema mondiale negli anni Cinquanta.
Proprio in questi anni di ricerca di gloria, l’attrice divenne la Musa ispiratrice di Cesare Pavese, artista logorato dalle frustrazioni d’ amore. Conosciuto nella notte del Capodanno del 1950, con lui condivise un amore tormentato, e Pavese si innamorò fatalmente di un’ illusione; infatti Costance “giocò” con quest’ ultimo nel tentativo di entrare nella cinepresa dei grandi, così incontrò grandi registri come De Sica e Zavattini.
Questa donna si dimostrò per il famoso poeta condanna e salvezza, tormento e sollievo.
Il loro amore farraginoso fu per lui, allo stesso tempo, uno stato di grazia, infatti Pavese scrive “Lei è poesia, nel più letterale dei sensi. Possibile che non l’abbia sentito?” (Il mestiere di vivere), portò a termine dieci liriche nel giro di un mese: 10 marzo, 11 aprile 1950, in cui c’era la confessione del suo stato d’animo “Non sono mai stato così vivo come ora, mai così adolescente” ; nello stesso tempo doveva tenersi pronto a poterla perdere, cosa che Pavese non fece, poiché non intuì che Costance non lo amava. La diva, non divenuta famosa come sperava , decise di ritornare ad Hollywood. Pavese, pur di non perderla, scrisse per lei e per la sorella una sceneggiatura (“Le due sorelle”), ma questo non bastò a tenerla con sé. Infatti la stessa Dowling non capì quanto grande e importante fosse Pavese, ma lo aveva preso per un semplice sceneggiatore di film italiani. Connie non riuscì a cogliere nemmeno la fragilità, la sete di purezza del poeta. Dopo averla persa, egli non demorse e continuò a credere nel loro amore come un bambino, con la fede degli innocenti. Continuò a lavorare, a scrivere, sapendo che Costance c’ era e lo “possedeva”, mentre la diva dall’altra parte del mondo sperava potesse congedarlo con una lettera e che il tempo e l’ Atlantico avrebbero fatto il resto. Purtroppo per Pavese non fu così: man mano capì. Lui, che si era lasciato incantare da quella donna di estrema bellezza e ispirazione poetica per potersi aggrappare alla vita e ritrovarne il piacere di viverla, si trovò sperduto.
Ma perché questa ostilità della Dowling verso l’ amore estremo e sfrenato del poeta ? Forse perché aveva perso la fiducia negli uomini dopo la storia con il regista Elia Kazan. Nel 1937, quando la ancora adolescente Costance lavorava al Belasco Theatre sperando di diventare attrice, Kazan, ormai ventinovenne, cadde in una passione sfrenata per il fascino giovanile della bella ragazza statunitense, di cui parla nella sua biografia “A life” in circa duecento pagine. Il suo amore per la Dowling fu molto diverso da quello di Pavese, infatti mentre il poeta italiano scrisse: “E’ così buona, così calma, così paziente. Così fatta per me” , riferendosi alle qualità interiori della donna, il regista, sfacciato, confessava gli effetti dell’ attrazione fisica provata per Connie: “Me la vedo in piedi immobile davanti a me, i suoi piccoli seni sodi, le gambe perfette, il suo ventre che sporge sensualmente come nelle donne delle pitture del Rinascimento italiano.”
Kazan, a quei tempi, era già sposato e aveva figli, nonostante ciò prometteva continuamente all’innocente bellezza americana di voler divorziare. Nel 1941 la passione dei due sembrava esser finita per scelta del regista che, in occasione della produzione del film “The Skin of Our Teeth”, decise di mettere la testa a posto e restare vicino alla famiglia. Ma quando Costance gli telefonò in una notte del ’42 per congratularsi con lui per il successo che stava riscuotendo il suo film e gli parlò di Sam Glodwyn che la voleva come attrice in una sua sceneggiatura, in Kazan si risvegliò la passione e, geloso di Goldwyn, chiese alla donna di incontrarsi. Così qualche giorno dopo i due si rividero e l’amore ricominciò. Negli anni a seguire Kazan ebbe sempre più successo nel mondo cinematografico, così iniziò un periodo di continuo viaggiare tra New York; moglie e figli lo sostenevano, ma a Hollywood faceva coppia fissa con Connie. Ma ben presto Elia fu stanco di questa vita. Mentre la Dowling non riscosse più successo, poiché licenziata da Glodwyn, la carriera di Kazan era in continua ascesa ; il regista si accorse di non provare nulla per la sua compagna di scappatelle e decise di lasciarla. Nel 1945 si arruolò nell’ esercito e scrisse una lettera di scuse ed ennesime promesse alla ormai cresciuta Costance che rispose: “Perché non impari a comportarti da uomo? Dimenticami. C.”.
Il regista continuò la sua sfrenata vita alla ricerca di nuove passioni, mentre Costance approdava sulle coste italiane. Pavese, invece, dopo l’ abbandono della donna, non riuscì ad uscirne più, non riuscì a ritrovare se stesso. Continuò a scrivere per e di lei.
Vide così tanto la figura di una Musa in Connie, che scorse nei suoi occhi l’ultima scialuppa nell’ oceano della solitudine. Trasformò lo sguardo magnetico di Costance in una poesia funebre “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”. Chissà se nella notte tra il 26 e 27 agosto del 1950, Pavese riuscì a rivedere quegli occhi mentre veniva pervaso dal sonno eterno indotto dai troppi sonniferi, in una stanza di Hotel a Torino. Lui che scriveva “Non ci si uccide per amore di una donna. Ci si uccide perché un amore, qualunque amore, ci rivela nella nostra nudità, miseria, inermità, nulla” (Il mestiere di vivere) Pavese non si è suicidato per l’ amore non corrisposto di Costance, o Connie, come soleva chiamarla nelle poesie che le dedicava, ma per il mancato ritrovamento di se stesso, infatti egli stesso confessa nei suoi Dialoghi con Leucò : “Io cercavo, piangendo, non più lei ma me stesso. Un destino se vuoi (…) Ho cercato me stesso. Non si cerca che questo”. Lo stesso destino che ha incontrato anche la bella Musa che, dopo essere tornata in America ed essersi sposata con il noto produttore cinematografico Ivan Tors, decise di togliersi la vita nello stesso modo del suo vecchio amore, abbandonandosi anch’ essa ad un sonno artificiale, a soli 49 anni.
Qualche giorno prima della sua morte, Pavese decide di scrivere, come confessa egli stesso, “con tono malinconico” un ultimo Blues, una musica malinconica che rappresentasse il suo amore sbocciato parzialmente, ma totalmente tormentato:
It was only a flirt
you sure did know –
some one was hurt
long time ago
All is the same
time has gone by –
some day you came
some day you’ll die
Some one has died
long time ago –
some one who tried
but didn’t know
Pavese, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi-
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.