di Maria Grazia La Pietra (classe 4^B) – Ebbene sì, mi ritrovo di nuovo a scrivere un’altra pagina ben diversa dalle altre conservate con amarezza in questo diario. Sono ancora qui e non mi arrendo, continuerò a scrivere di me e a raccontare la mia storia; tutti hanno il diritto di conoscere ed io ho il diritto di inviare questo messaggio, affinché diventi così forte da buttar giù muri di indifferenza e di debolezza, che potrebbero ucciderti. Proprio da qui bisogna partire, dalle basi della nostra società fondata sull’apparenza e sulla superficialità di ciò che ogni giorno ci ritroviamo ad osservare, dal disinteresse con cui le persone fingono di non sentire le parole che echeggiano disperate nella mente, dalla finzione nel non vedere gesti così evidenti, così ingiusti. La cosa complicata in una comunità così chiusa è proprio acquisire una certa credibilità attraverso situazioni che non possono essere dimostrate, con azioni tanto sottili quanto logoranti di cui gli unici testimoni siamo noi, fra le nostre mura di casa, fra i quattro sportelli della nostra auto e nessun altro. Io non ero una ragazza che camminava fra le strade della propria città, o nelle piazze affollate con un occhio nero, o un braccio ingessato, o con il corpo tumefatto, no io non ero fra quelle; non possedevo testimoni o segni evidenti di tutto ciò che subivo. Gli atti di violenza su di me erano costituiti da schiaffi e pugni sferrati con parole e battute, da calci assestati con le assenze, da rifiuti, da scarsa considerazione, da profondi segni sul corpo di una gelosia ingiusta, ma giustificata da tutti con parole come “a te ci tiene, perciò fa così”. E allora in quei momenti provi ad autoconvincerti che è la verità, che sei una ragazza fortunata ad avere un uomo accanto che ti deride, ti rinchiude e ti soffoca, ma che lo fa soltanto perché è follemente innamorato di te. Sei fortunata, oppure soltanto una delle migliaia e migliaia di donne capitate nel posto sbagliato al momento sbagliato. Il mostro si nasconde e di questo si è consapevoli, ma lo amiamo tanto e cerchiamo di proteggerlo dal suo stesso male permettendogli di procurarcene fino all’ultimo momento in cui ci accontentiamo dell’amore che crediamo di meritare. Quando le uniche testimoni, le sopravvissute, siamo noi, i percorsi per poter fuggire sono limitati poiché dipendono da noi e soltanto dalle nostre forze. Le strade sono quasi impercorribili, sono faticose, piene di ostacoli da superare, ed ai loro lati ci sono le stesse persone che con indifferenza continuano a passarti di fianco, occupate tutte a rendere la società perfetta e intoccabile mentre di quel che ero io sembra non importi a nessuno. Lui mi colse impreparata e riuscì e prendersi parte dei miei ricordi, molte delle mie giornate e molti dei miei sorrisi, gettandomi come cosa di poco conto senza alcun valore : mi ha scheggiata ma non danneggiata, ha provato e riprovato a cancellarmi, ad eliminare le mie tracce, ma non ce l’ha fatta.
Alla fine, ho vinto io. Ha vinto la mia voce, che, una volta ritrovata, ha riempito quel tormentato silenzio, ha vinto la mia voglia di non arrendermi per tutte quelle donne che non hanno fatto in tempo a riacquistare la loro integrità come persone e non come oggetti, ha vinto la forza che ognuna di noi ha dentro ma che aspetta indisturbata la volontà che impieghiamo per ritrovarla. “Pensiamo mica di avere sette vite come i gatti… no, ne abbiamo una sola, non buttiamola via”. Per amore non si deve morire, si deve vivere.