Il presente lavoro sulla figura e l’opera di madre Ermella Brandi, dell’Ordine delle Suore Stimmatine, è nato dal desiderio di conoscere una “giusta tra le nazioni”, sicuramente poco nota, se confrontata con gli altri (don Aldo Brunacci, padre Rufino Niccacci…) che operarono a favore di sfollati, perseguitati politici, Ebrei, negli anni ‘43-’44, nella cittadina di Assisi occupata militarmente dai Nazisti.
Infatti non ci sono targhe o lapidi che la ricordino, e questo in ossequio alla caratteristica principale dell’Ordine, il cui nome per esteso è “Povere Figlie delle Sacre Stimmate di San Francesco”, che nasce nel 1850, che consiste nell’adesione totale allo spirito del Poverello, nei valori della semplicità, umiltà e carità fraterna.
Ci ha commosso che persino al locale cimitero le suore non siano ricordate con un nome e le date di nascita e di morte, ma tutte riposino sotto una grande lastra bianca, con solamente il nome della loro congregazione!
Tuttavia, alcune “pietre della memoria” testimoniano, nel silenzio, del loro prezioso operato.
Dalle memorie di Madre Ermella
Nacqui a Siena nel Gennaio 1888, da una famiglia umile, ma di profonda fede cristiana e fin da bambina mi sentii chiamata ad una vocazione grande: servire il Signore nell’attenzione ai poveri e ai piccoli. Appena mi fu possibile, scelsi la via del convento: erano anni difficili, di grandi ristrettezze, ma la vita con le altre sorelle rendeva tutto lieto e sopportabile. Al convento di via Ancajani, ad Assisi, dove ebbi il ruolo di madre superiora, era annesso un orfanotrofio dove accompagnavamo nella crescita tante povere bambine che avevano perduto i propri genitori: vederle imparare a leggere e a scrivere, a svolgere lavoretti di cucito e ricamo, a prepararsi alla vita mi riempiva di una gioia indescrivibile e le mie attenzioni nei loro confronti erano continue! Nelle mattine d’inverno, preparavo gli scaldini alle mie consorelle, prima di riunirci nel coro per le Lodi e di sera riscaldavo alcuni mattoni di argilla per donare un po’ di tepore alle bimbe, rannicchiate nei loro giacigli.
La vita semplice ed intensa del convento fu sconvolta quando, un giorno già autunnale del Settembre 1943, Padre Rufino, del convento di san Damiano, venne a chiederci se potevamo ospitare dei profughi e degli sfollati dalle città bombardate del sud Italia, nella foresteria e nell’infermeria.
Non fu facile accettare subito: le nostre possibilità economiche erano scarse e il pericolo che si correva molto forte. Ma come potevamo rifiutare dei fratelli in difficoltà? La nostra madre fondatrice, Anna Lapini, e il nostro santo protettore Francesco ci avrebbero indicato immediatamente la via dell’accoglienza!
“La misericordia e la carità vanno a braccetto!” amavo ripetere alle più giovani. Dunque aprimmo le nostre porte e vi entrarono alcune famiglie, bambini, giovani ed anziani.
La forte asma e i dolori artritici, che aumentavano con l’età, mi resero difficoltoso aiutare personalmente i nostri ospiti, ma potevo contare sull’aiuto delle mie sorelle, soprattutto di suor Clara Zanarotti, da sempre il mio braccio destro.
Proprio lei, un giorno, mi cercò per confidarmi un segreto: una nostra ospite, la piccola Giannina, di nove anni, nipote della signora Olga Kropf, le aveva chiesto “una tegetta”, cioè un tegamino, termine
che suor Clara ben conosceva, facendo parte del dialetto veneto. In breve, suor Clara era venuta a conoscenza del fatto che gli ospiti erano Ebrei provenienti da Trieste e che erano ricercati! Ebbi un trasalimento!
Radunai la comunità e misi tutte al corrente della situazione, affinché mantenessero il segreto e si potessero regolare all’occasione. Nonostante il pericolo che si correva, mi rallegrava il fatto che la piccola comunità ebraica si radunasse per celebrare le feste legate al loro culto, chiedendoci candelabri ed altro, essendoci anche un rabbino tra di loro; in tali occasioni giungevano da noi anche gli altri Ebrei rifugiati in vari posti della città, per trascorrere momenti di serena gioia! Essi si univano volentieri anche a noi durante le feste cristiane. Ma la situazione non era affatto facile, visto che dovevamo stare attenti a non dare nell’occhio e non fare troppo rumore perché, come era già successo, i Tedeschi sarebbero potuti capitare per perquisire il convento ed arrestare coloro che vi erano nascosti, sotto falso nome.
Infatti un giorno si presentarono due militari tedeschi e, con fare arrogante, chiedevano di Giorgio, figlio della signora Olga, che faceva parte attiva della Resistenza, registrato sulla falsa carta di identità come Giorgio Cianura.
Suor Clara fu svelta a dichiarare che la sera precedente avevamo dato alloggio ad un profugo, che però se n’era andato all’alba e che forse poteva trattarsi di lui; quella volta andò bene, ma poco dopo Giorgio venne arrestato e le cose sembravano volgere al peggio, se non fosse stato per l’intervento di sua madre che, conoscendo bene la lingua tedesca, si offrì quale interprete durante l’interrogatorio e riuscì nell’intento di far liberare il figlio.
Non scorderò mai il momento in cui, scampato il pericolo, depose ai piedi della statua della Vergine un mazzo di rose rosse, ringraziandola per aver protetto suo figlio!
Intanto la piccola Gianna la vestimmo con il grembiulino delle orfanelle e la facevamo dormire con loro, perché fosse più al sicuro.
Assisi venne liberata il 17 Giugno 1944 dagli Alleati e le famiglie ebree lasciarono la città all’incirca un anno dopo.
Assisi venne risparmiata dai bombardamenti, per interessamento del podestà Arnaldo Fortini, essendo stata dichiarata “città ospedaliera” e in ragione del fatto di essere uno scrigno d’arte di interesse internazionale. Nessuno di coloro che vennero accolti e sistemati nei conventi di Assisi furono toccati! Essi mai dimenticarono il bene ricevuto, tanto che non mancavano di scriverci spesso per metterci al corrente delle loro vite e chiedere delle nostre!
A questo proposito non posso tacere del bene fatto da mio fratello Leopoldo, a cui sono sempre stata molto legata: era un capotreno e, mettendosi d’accordo con il macchinista, alla partenza, nascondeva gli Ebrei ricercati nei vagoni bestiame, tutti stipati. Quando il treno arrivava in aperta campagna, il macchinista fermava il convoglio fingendo un guasto, e intanto Leopoldo toglieva i
bulloni delle assi dell’impiantito, da dove solitamente si versava lo sterco degli animali, e da lì faceva scendere uno alla volta gli Ebrei, così erano liberi di scappare e salvarsi dai campi della morte. Solo io sapevo di queste opere e il buon Dio che sicuramente avrà premiato questo coraggioso mio fratello!
Al suono delle campane per la festa di Cristo Re, il 29 Ottobre 1967, chiusi gli occhi alla vita e li aprii alla vita eterna! Ho potuto vedere la gente di Assisi accorsa a rendere omaggio alle mie spoglie mortali, a pregare, chiedere grazie con tanta venerazione. Eppure sono convinta di aver fatto solo quello che in quel momento era giusto compiere, nè più nè meno, come tutti dovrebbero fare, seguendo la propria vocazione! Da quassù ho anche assistito all’onorificenza che mi è stata data come “giusto”, nel 2014; ma io spartisco questo riconoscimento con tutta la comunità delle Stimmatine, per aver lavorato per il Bene, sempre in profondo accordo.
Vorrei aggiungere, come sigillo a questa storia, che fare memoria del bene è senz’altro il miglior modo per porre un freno alla diffusione della cattiveria, degli odi, delle violenze; per contrastare la cultura del razzismo e della discriminazione; per riconoscerci tutti fratelli e sorelle, perché, come diceva Francesco, figli dello stesso Padre Altissimo!