Nel marzo di 3 anni fa è scoppiata la pandemia, cosa che adesso ormai è quasi del tutto dimenticata come le restrizioni che hanno sconvolto le nostre vite: dal lockdown, alle mascherine, all’igienizzante per mani e ambienti. Dopo la pandemia da covid-19 la nostra vita è cambiata in tutti i sensi. Dal periodo in cui è iniziato tutto il disagio psicologico è cresciuto del 25%. Richieste e cure per ansia e depressione sono aumentate a dismisura colpendo l’intera popolazione mondiale in tutte le fasce d’età. Questo è dato perché si viveva in uno stato di incertezza, di instabilità, di precarietà. Di certo nessuno di noi era davvero pronto ad apportare delle modifiche così profonde alla propria vita, sia per quanto riguarda quella sociale che quella lavorativa. Il periodo della pandemia è stato molto difficile e ha messo a durissima prova la quotidianità di ogni singolo individuo, permettendogli di condividerla con pochissime persone. I rapporti umani hanno subito un vero e proprio standby. Abbiamo sperimentato una quotidianità che in certi casi ci ha relegati e condizionati in uno spazio ristretto, a volte anche con persone che spesso in passato erano assenti dalle nostre vite o latitanti. Mi ricordo ancora che, ogni giorno, alle ore 18.00 c’era il bollettino quotidiano che ci informava di rischi, contagi, decessi. È stato un calvario. Durante i mesi peggiori, quelli della reclusione forzata, le nostre giornate erano scandite da 3 momenti principali: il pranzo, la cena e le notizie. Durante il lockdown non abbiamo soltanto riscoperto il valore degli affetti più cari, quelli con i quali trascorrere molte ore durante la giornata, è aumentato anche lo spazio per il digitale che coinvolge sempre di più il nostro modo di essere. Abbiamo sperimentato varie piattaforme per fare delle videochiamate e vederci anche a distanza. Questo periodo si può riassumere con 2 parole: ansia e paura. Durante i mesi più critici la situazione ha indotto tutti ad essere più responsabili per sé stessi e per gli altri e a seguire le regole imposte. All’inizio della pandemia si ha avuto quasi la percezione di essere in vacanza, specie per chi aveva i figli a casa e non riusciva ad organizzarsi con il lavoro. Questo non vuol dire che lo smart working sia da eliminare completamente, perché per alcune persone è stato un modo per essere più presenti in casa e in famiglia, per risparmiare tempo potendo svolgere la propria professione in casa svolgendo contestualmente le attività quotidiane spesso rimandate in passato, per mancanza di tempo, quando si lavorava in presenza e non in remoto. Ma lo smart working imposto, così come la didattica a distanza per noi studenti ha leso il nostro diritto alla socializzazione. Certe persone vivono ancora con l’ansia, perché hanno paura che il virus possa ritornare più aggressivo di prima, o vivono i postumi del post-Covid che ha modificato in peggio la qualità della propria esistenza, ma dobbiamo tornare alla normalità, perché altrimenti vivremo sempre con le mascherine e probabilmente l’ansia peggiorerà e ci dilanierà come un tarlo.