//Combattere il Coronavirus 

Combattere il Coronavirus 

di | 2020-03-24T11:59:20+01:00 24-3-2020 11:54|Alboscuole|0 Commenti
di Simone Bruno III E-
Questo scritto ripercorre le principali fasi della diffusione del Coronavirus in Italia, con tutte le reazioni sociali che ha comportato. L’obiettivo è ricostruire le fasi di questo periodo, affinché se ne conservi una memoria: fare luce sui fenomeni per non dover soccombere mai all’ignoranza, alla disinformazione e alla paura. La pandemia di COVID-19 ha cominciato a diffondersi nel dicembre del 2019, nella città di Wuhan, capoluogo della provincia cinese dell’Hubei.  Il coronavirus SARS-CoV-2, scoperto  al mercato del pesce della città cinese, (mercato poi chiuso il 1° gennaio 2020) provoca una grave malattia respiratoria. Il primo decesso confermato risale al 9 gennaio; il 23 dello stesso mese, dato il crescente numero dei contagi, Wuhan  è messa in quarantena, seguita dalle città limitrofe. I sintomi più comuni sono simili all’influenza: febbre, tosse secca, stanchezza e difficoltà respiratorie. Nei casi più gravi, si sviluppano ulteriori sintomi, come per esempio la polmonite e l’insufficienza renale acuta. Non c’è ancora alcun vaccino e le guarigioni che avvengono sono quasi spontanee; il trattamento talvolta si  limita al controllo dei sintomi. Già da fine gennaio, il Coronavirus fa la sua comparsa anche fuori dalla Cina:  i primi casi su navi da crociera messe in quarantena, come  la ‘Diamond Princess‘, al largo delle acque giapponesi. Giungono poi i primi provvedimenti di Stati come la Corea del Sud. Quindi il virus oltrepassa i confini dell’Asia e raggiunge gradualmente tutti i continenti: l’Italia è uno dei Paesi colpiti per primi a livello mondiale, al punto che il Governo procede ad una chiusura sempre più radicale, sul modello della Cina.  Le conseguenze economiche e sociali del Coronavirus, a pandemia ancora in corso, non sono del tutto quantificabili. Di certo, come se non bastassero i numeri dei deceduti e dei contagiati, da subito sono dilagate le fake news, la xenofobia e il razzismo nei confronti degli orientali, casi importanti di resilienza a parte. A livello sociale, la chiusura di diverse attività ha portato molte persone sull’orlo del precipizio, facendo crescere il malcontento. D’altra parte, però, lo smart work (o lavoro agile) ha subito un’implementazione, aprendo nuove prospettive lavorative. Nella realtà italiana, persino l’istruzione via web comincia a regolarizzarsi come alternativa formativa forzata già dalla fine di febbraio.   In Italia, a fine gennaio, il termine Coronavirus si è diffuso rapidamente e ha portato con sé tutta una serie di vocaboli  da tempo  poco utilizzati, se non dimenticati. La prima fase è stata quella della psicosi. Il termine è medico: come ci dice la “Treccani.it’, esso indica una malattia mentale che sovverte la «struttura psichica nei rapporti tra rappresentazione ed esperienza». In un significato più esteso, indica invece apprensione, persino ossessione, il più delle volte esagerata rispetto al reale problema. Il grave pericolo giunge però quando la psicosi passa dall’individuo alla collettività. Di fronte a un serio timore, le persone cercano risposte, il prima possibile e senza troppo interesse per un rigoroso fact-checking (verifica dei fatti). Proviamo a pensare: normalmente circolano fake news, che  spesso vengono poi smentite, ma tanti tendono a trascurare l’autocritica su ciò cui avevano erroneamente creduto. Così, a fine gennaio, Maurizio Crosetti titolava  su Repubblica: “Coronavirus, in Italia è psicosi Cina. Clienti in fuga dai negozi e record di mascherine.”   Una cosa però è certa: il bisogno di una narrazione da parte delle persone. La stragrande maggioranza di noi, come è normale, vive delle esistenze tutto sommato regolari, senza particolari momenti epici o anche solo degni di nota. Il Coronavirus ha cambiato in parte tutto questo. Ha reso le persone partecipi, le ha coinvolte nel dovere di fare ciascuna la propria parte perché il contributo di tutti è in questa emergenza fondamentale. Da un lato, dunque, il virus ci spaventa e  talvolta ci spinge ad  assumere atteggiamenti non proprio da solidali,  ma dall’altro contribuisce a renderci responsabili. Sulle prime non è stato unanime l’adeguamento alla  richiesta delle istituzioni e degli esperti.  E questo nonostante i diversi focolai, tra cui quello di Codogno. Nel migliore dei casi, si è assunta qualche precauzione, come l’utilizzo di gel antibatterici, il particolare lavaggio delle mani e l’auto-quarantena nell’ipotesi di un sospetto contagio. Nel peggiore, vi è stato chi ha continuato a fare feste, aperitivi in centro e incontri di vario genere. C’era stata una sottovalutazione della capacità del COVID-19 di diffondersi; questo ha  portato ad una serie di iniziative disastrose.  Poi, al momento del picco della  diffusione, i più giovani hanno talvolta sottovalutato l’influenza che il virus poteva avere per i propri familiari più anziani. La mortalità  colpisce pesantemente  la fascia anziana della popolazione, ma si ammalano persone di tutte le età. Così la narrazione è cambiata lentamente. Coinvolgendo le vite di ognuno di noi. Il Coronavirus ci spinge a  dare un significato ulteriore alla nostra esistenza. In un futuro,  forse  racconteremo alle nuove generazioni come abbiamo vissuto durante la più grande epidemia degli ultimi decenni, raccontando del valore della libertà, narrando i piccoli e grandi eroi di una tragedia di cui siamo stati parte.