a cura della classe II B –
Mille cose insieme:
un ponte d’acqua, che collega tre continenti;
un grande mosaico di civiltà che si sono sviluppate dall’antichità ad oggi;
un antico crocevia interculturale di popoli e di fedi;
un mare ostile per i poveri e disperati emigranti che bussano alle porte della Fortezza Europa;
un mare di conflitti, fiorito di cadaveri, un mare “sarcofago”;
un luogo fondamentale d’incontri e di scambi, uno spazio di connessione, ma anche di tensioni e di scontri.
Il Mediterraneo si può raccontare e rivivere ogni giorno, senza posa.
Per secoli, per millenni, il Mediterraneo non è stato un mare, è stato il mare. E più che un mare, è stato il mondo.
“Mare suonante” per Omero, “Mar nostro” per i romani, “Mare bianco”per i turchi, “Grande mare” per gli ebrei”, “Mare di mezzo” per i tedeschi”, “Grande verde” per gli antichi egizi:
dentro le sue sponde e nelle terre che bagna si sono svolte le storie di tutta la storia dell’umanità.
Il Mediterraneo allora unisce o divide? Un tempo sicuramente le sue acque “accostavano” le diversità e favorivano lo scambio. Il Mediterraneo era un mare di pace, di civiltà, ma è stato anche storicamente un mare di guerra, a cominciare dalle guerre puniche.
“Il mare in mezzo alle terre”, il Mediterraneo appunto, è un’acqua che dà speranza, che come un ventre materno dà la vita, ma che è anche separazione, distacco, e toglie la vita, unisce e separa le terre, è confine e frontiera.
Il Mediterraneo, spazio geografico e culturale, “pianura liquida”, da sempre produce storie. Storie di incontri e di scontri, di confronti e di contaminazioni, più spesso oggi storie di dolore.
Ai nostri occhi oggi, infatti, il Mediterraneo appare più segnato da differenze e antagonismi che non da somiglianze. Il pensiero corre agli immigrati, ai rifugiati che fuggono dalla sponda sud per trovare un loro orizzonte in altre nazioni, in altri mari, ai barconi carichi di disperazione, che lasciano nelle onde un pesante tributo di sangue.
Parlare di Mediterraneo vuol dire riflettere sulla storia del mondo intero, non solo dei tre continenti che su di esso si affacciano. E spiegare il Mediterraneo vuol dire osservare il presente (dalle primavere arabe al conflitto israelo-palestinese, ai rapporti economici tra Europa e paesi arabi) e provare ad immaginare un futuro.
Cosa può offrire il Mediterraneo, mare inquieto che gonfia e ribolle più per i suoi problemi che per le sue onde? La risposta non è affatto scontata.
Il Mediterraneo oggi è un mare segnato dalle fratture, non solo dalla xenofobia interna dell’Europa, ma anche dal muro che sorge in mezzo al mare e su cui vanno a sbattere le molte barche della disperazione. E’ un mare “sarcofago”.
In un mondo che, chissà perché, si sta avviando verso la deriva, dovremmo cercare di ritrovare le antiche radici comuni, che esistevano e che continuano ad esistere, di tentare di ridare voce a quei valori comuni di un vivere civile, che le tragedie umanitarie sembrano aver spazzato via.
Dovremmo cercare di sconfiggere “confini” e “campi di concentramento”, per riscoprire il piacere del dialogo e del rispetto delle reciproche identità, per recuperare il senso civile del vivere insieme e del confronto, fondamenta della cultura e delle sue vitalissime diversità.
E il nostro augurio è che questo “Mare nostro”, di noi tutti che vi abitiamo intorno, possa ritornare ad essere come più volte è stato nel passato, un mare che unisce, un luogo di incontro e di civiltà.