di Giada Boccia- Maria Vittoria Nunziata -“La paura è qualcosa che tutti abbiamo. E’ la vigliaccheria che non si capisce. Io, come tutti gli uomini, ho paura ma non sono un vigliacco” . Queste le parole di Antonio Montinaro, agente della scorta di Falcone, in una intervista rilasciata poco prima di perdere la vita il 23 maggio 1992, giorno in cui avvenne la strage di Capaci. Nell’attentato, compiuto da Cosa Nostra, furono uccisi il magistrato antimafia Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Vito Schifani era alla guida della prima delle tre Fiat Croma, che riaccompagnava il Magistrato, appena atterrato a Palermo. Nell’esplosione l’agente e i suoi due colleghi, morirono sul colpo e la loro macchina fu sbalzata dalla strada in un giardino di olivi a più di dieci metri di distanza. Lasciò la moglie Rosaria Costa, 22 anni e un figlio di appena 4 mesi. Le parole che la signora Rosaria pronunciò ai funerali del marito, di Falcone, della moglie e del resto della scorta, entrarono nel cuore di ognuno e ancora oggi sono presentate ai ragazzi delle scuole perché resti sempre vivo il ricordo di quella strage vile e assurda. Lei al funerale pronunciò le seguenti parole: ““Io, Rosaria Costa, vedova dell’agente Vito Schifani mio, a nome di tutti coloro che hanno dato la vita per lo Stato, lo Stato…, chiedo innanzitutto che venga fatta giustizia, adesso. Rivolgendomi agli uomini della mafia, perché ci sono qua dentro (e non), ma certamente non cristiani, sappiate che anche per voi c’è possibilità di perdono: io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, se avete il coraggio di cambiare…Ma loro non cambiano… …loro non vogliono cambiare…. Vi chiediamo per la nostra città di Palermo, che avete reso città sangue, di operare anche voi per la pace, la giustizia, la speranza e l’amore per tutti”. Non c’è amore, non ce n’è amore…” Rocco Dicillo si trovava sul sedile posteriore della croma marrone, investita dalla deflagrazione seguita all’attentato ai danni del magistrato. Nell’esplosione, l’agente morì sul colpo, lasciando la sua famiglia e la sua fidanzata, Alba Terrasi : “Ci ho messo del tempo a capire come avrei rimesso insieme la mia vita saltata in aria. Ci sono stati momenti in cui ho avuto bisogno di sentire il dolore scorrere a fondo dentro di me, di non reprimerlo. Non ne vado fiera, ma devo ammettere che per un po’, dopo, entrando in chiesa, ho chiesto a Dio conto e ragione: “Perché a me?”. Ma soprattutto: “Perché a quelli che stavano dalla parte del bene?”. Antonio Montinaro era il capo della scorta di Falcone, quel giorno viaggiava nel sedile passeggero. Egli in un’ intervista, poco prima dell’accaduto, pronunciò le testuali parole: “Chiunque fa questa attività, ha la capacità di scegliere tra la paura e la vigliaccheria. La paura è qualche cosa che tutti abbiamo: chi ha paura sogna, chi ha paura ama, chi ha paura piange. È la vigliaccheria che non si capisce e non deve rientrare nell’ottica umana”. Erano uomini consapevoli dei rischi che correvano, ma avevano scelto di servire lo Stato: esempi di coraggio e di abnegazione. Oggi, quella tessa Fiat Croma, nome in codice “Quarto Savona Quindici”, è diventato il simbolo della lotta alla mafia e, grazie a Tina Montinaro, viene portata in giro per le piazze d’Italia per tenere vivo il ricordo di quegli uomini dall’alto senso del dovere e stimolare un continuo impegno contro la criminalità organizzata.